Per più di 40 anni Marina Secci e Mario Nieddu hanno viaggiato e visitato città europee e continentali e hanno raccolto, fotografato e classificato ogni singolo pezzo che compone la loro collezione.

Appassionati collezionisti di oggetti particolari e suggestivi e proprietari di una raccolta unica e originale che conta oltre 700 pezzi fra rosari cristiani, cattolici e ortodossi, contapreghiere islamiche, buddiste, oltre a icone, stampe e piccole statue di Madonne Nere provenienti da santuari di tutto il mondo.

di Marina Secci

C’è tutto un cosmo da scoprire attorno a uno degli oggetti di culto più venerati e diffusi nel mondo: il rosario (o meglio, la corona del rosario), un antico e sacro strumento di preghiera, di fragile e semplice consistenza materiale, ma di incredibile ed efficace vigore spirituale, adottato non solo dalla fede cattolica ma anche da altre culture e filosofie religiose perché è utilizzato da ogni uomo che vuole incontrare e comunicare con il proprio Dio.

Il rosario è il concentrato di un mondo che esprime passaggi di vita e di tempo in grado di raccontare consuetudini e devozioni popolari universali, vissuti quotidiani e leggendari, un oggetto emblematico e suggestivo che, tenuto in mano per pregare, ha il potere di rilassare la mente, confortare l’animo e alimentare la spiritualità, riuscendo a emozionare, nel profondo, il professante abituale, ma allo stesso tempo capace di stupire e incuriosire anche la coscienza di chi non crede nel divino.

È un utensile interessante sia sotto il profilo culturale che storico e religioso, è un patrimonio da esplorare e da gustare ed è da tempo materia di ricerca e approfondimento da parte di studiosi, curiosi e appassionati, sia laici che teologi. Il rosario, infatti, racchiude in sé un valore simbolico e un significato che valica i confini della tradizione e della credenza, e diventa in tal modo immortale espressione storica e spirituale dei luoghi di origine delle persone che sempre lo adoperano e lo vivono.

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È uno strumento arcano e fascinoso che funge da legame tra il mondo materiale e quello spirituale perché attraverso la preghiera tiene costantemente in contatto l’uomo con Dio: è come un’unione tra il cielo e la terra, una sorta di incontro, di abbraccio tra gli uomini e gli angeli. L’origine di questa corona di rosario (genericamente chiamata conta-preghiere perché serve per tenere il conto delle suppliche e delle invocazioni rivolte a un Dio supremo), è antichissima e non è ufficialmente attestata.

Il suo uso, forse, risale alla cultura indiana, se non addirittura a quella assira (2600-1900 a.C.). Una sorta di testimonianza la si può rinvenire in un bassorilievo presente in una serie di sculture in una zona dell’isola di Creta, in cui il re Minosse è rappresentato mentre stringe tra le mani un cronometro che ha la stessa foggia e lo stesso aspetto di una corona di rosario: ciò fa pensare che si possa trattare di un primo, arcaico esemplare di conta-preghiere.

Nell’antico e lontano Oriente, una leggenda del 500 a.C. circa racconta di anacoreti buddisti che vivevano nel deserto dedicando la loro esistenza alla meditazione e all’orazione e che, dovendo tenere il conto delle innumerevoli preghiere recitate giornalmente, erano soliti utilizzare 300 sassi e lanciarli a uno a uno alle loro spalle man mano che terminavano di recitare una supplica, adottando un ritmo di nenia costante.

Una specie di conta-preghiere non infilato, dunque. Nel mondo occidentale, nei primi secoli dopo Cristo (III–IV sec.) esisteva l’usanza di recitare e contare le preghiere utilizzando una cordicella annodata.

Le più antiche corde o corone da preghiera erano quelle dei monaci cristiani d’Egitto ed erano costituite da 100 o da 300 nodi.

Anche la consuetudine di far passare in un filo o in una corda dei grani o delle piccole sfere di svariato materiale, per poi scorrerli tra le dita, è molto antica e consolidata.

La tradizione del ricorso a questo oggetto di preghiera è quindi assai remota, comune e universale, e simile, sia nella forma che nel modo e nella costituzione materiale, a tanti altri conta-preghiere diffusi tra i popoli del mondo. Naturalmente, a seconda degli ambienti e dei contesti religiosi, assume nomi differenti.

Si parla, per esempio, di Japamala buddista e induista per recitare i Mantra, di Tasbeh o Masbah islamico per invocare i 99 nomi di Allah, di Kurus senegalese, di Komboloi o Komboskini ortodosso per recitare la preghiera del cuore, di Chotkij russo per favorire una preghiera silenziosa, di Juzu o Ojuzu giapponese, di Fozhu o Nianzhu cinese, di Phat chau vietnamita, di Trengwa birmano, di Tefillin ebraici (minuti astucci quadrati di cuoio nero contenenti piccole pergamene che riportano 4 brani della Torah e legati con fili di coda di mucca).

Il rosario adottato dai cristiani cattolici, il più conosciuto e il più comune, è di forma circolare ed è costituito da 54 grani, suddivisi in 5 decine (poste) per la recita delle Avemarie, più 4 grani per i Pater Noster.

Termina con un’appendice di ulteriori 5 grani dedicati all’apertura della preghiera e al saluto a tutte le anime dei santi.

Il termine deriva dal latino rosarium, che si traduce come corona di rose, e si riferisce ad un’usanza medioevale (1500 d.C.) che consisteva nel sistemare una corona di rose sul capo delle statue della Madonna, essendo le rose il simbolo delle preghiere recitate e dedicate alla Vergine.

Anche ora, infatti, ogni volta che si recita la preghiera dell’Avemaria, è come se si offrisse una rosa alla Vergine.

Non a caso, la stessa Madre di Dio, nelle sue apparizioni, ha sempre esortato gli uomini a rivolgersi a Lui recitando innumerevoli preghiere e confidando nella Sua misericordia.

San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) fu il promotore di un fervido culto mariano che prevedeva l’impiego di una corda-contapreghiere, denominata signacula o numeralia, la quale aveva 150 nodi o grani, terminava con una nappina e si utilizzava per la recita dei Pater Noster.

A questa corona fu poi aggiunta un’appendice, inizialmente formata da 3 grani e poi da 5, che terminava con una croce o una medaglia.

Nel 1600, i frati francescani diffusero il cosiddetto rosario seraphicum o rosario di San Francesco, formato da 9 decine per la recita di 90 Avemarie più 9 misteri per un totale di 99 invocazioni.

Attualmente questo rosario non è più in uso, mentre esiste una corona francescana di 77 grani per la recita di 70 Avemarie e 7 gaudi (ringraziamenti).

A titolo di curiosità: quando nel 1818 è stata riesumata la salma di San Francesco, tra i suoi pochi effetti personali è stata ritrovata una coroncina di 30 grani cui il fraticello ricorreva per le sue preghiere.

Nel XVII secolo, quando la Spagna fu posta sotto la protezione di Maria Immacolata, al rosario si applicò una medaglia (spartitore o crociera) con l’effige della Madonna, tra l’appendice dei 5 o 3 grani e l’inizio delle 5 decine.

Al giorno d’oggi esistono corone con un numero vario di grani: 13, 7, 100 o 150. Sono tutti rosari che simboleggiano momenti di vita di Gesù o ricordano figure bibliche.

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Fin qui, in sunto, la descrizione dell’oggetto materiale, la specificità del conta-preghiere, nella sua forma e nella sua costituzione.

Per quanto riguarda il contenuto, cioè la nascita della preghiera del Rosario, bisogna tornare indietro nel tempo di quasi mille anni.

Si tratta di una preghiera facile e bella, semplice ed efficace, alla portata di tutti, soprattutto degli umili, perché insegna il cammino verso la semplicità di cuore, la genuinità di pensiero e la purezza di spirito.

Il Rosario è una forma di orazione indirizzata a Dio e consiste nel rivolgere lodi alla Madonna, ripetendo per 50 volte il saluto angelico dell’Arcangelo Gabriele (Ave o Maria), e inserendo, tra una decina e l’altra, la preghiera del Signore (il Padrenostro) con la recita dei 20 misteri che ripercorrono l’intera vita di Gesù Cristo.

Il Rosario, infatti, è una preghiera ricca di contenuti biblici e teologici che porta ad una conoscenza più profonda dei misteri di Cristo facendo crescere il credente spiritualmente e moralmente.

Tracciare la storia della preghiera del Rosario in modo breve e al tempo stesso esauriente non è impresa facile.

Le sue origini risalgono al Salterio (il libro biblico dei 150 Salmi), che è la parte più ampia e importante della preghiera canonica della Chiesa, non a caso preso a modello per altre forme di preghiera.

Il termine Salterio assunse, con l’andare dei secoli, un’ampiezza di significato sempre maggiore fino a includere, oltre ai 150 Salmi della Bibbia, qualsiasi serie di preghiere che fosse formata da 150 unità.

La divisione dei Salmi in tre cinquantine è attribuita ai monaci irlandesi San Colombano (540-613 c.a.) e San Gallo (550-645 c.a.).

La prima diffusione dell’uso del Rosario anche tra gli umili e incolti (coloro che non conoscevano la lingua latina) è dovuta a San Beda il Venerabile (673-735 d.C.), che consigliava di sostituire la recita dei Salmi (in latino), con il Salterio di Gesù (150 Pater noster in gergo popolare), divisi in tre cinquantine, da recitare in tre momenti diversi della giornata.

La lode a Cristo sfociava inevitabilmente nella lode alla Vergine Madre di Dio, e la Madonna era talmente associata alla vita di suo Figlio Gesù che non si potevano, con il tempo, non creare appositamente delle invocazioni che magnificassero il suo ruolo materno.

Sorse dunque, ben presto, anche un Salterio di 150 lodi alla Madre del Salvatore.

Il metodo seguito fu lo stesso di quello adottato nella compilazione del Salterio di Gesù. Risale al XII secolo la norma di alternare regolarmente, a ognuno dei 150 Pater Noster del Salterio, un’Avemaria che comprendeva solo la prima parte di questa preghiera, cioè il saluto dell’Angelo e la benedizione di Elisabetta («Ave o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù»).

Nel corso del XIV secolo si diffuse anche la parte del Sancta Maria, e la preghiera mariana divenne completa («Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte»).

La storia è ricca di testimonianze che informano sulla potenza spirituale della preghiera del Rosario, e su come essa abbia accompagnato, da sempre, sia gente comune che personaggi famosi, tra cui artisti, pittori e scrittori.

Basta ricordare l’affresco di Michelangelo, il Giudizio Universale nella Cappella Sistina (1535-1541), in cui un dannato sta per precipitare all’inferno e si salva aggrappandosi a un oggetto: appunto, il Rosario. Anche il Manzoni, ne I promessi sposi, descrive Lucia che recita il Rosario nel momento più drammatico della sua vita.

Ancora: al museo del Prado a Madrid è esposto un olio su tela della metà del XVII secolo, del pittore Bartolomè Esteban Murillo, che raffigura una Madonna e il Bambino uniti in abbraccio tra un Rosario. Alcide De Gasperi, nelle lettere che indirizzava alla moglie dalla prigione, scriveva che la preghiera del Rosario gli era di sostegno spirituale e che la recitava alla sera, alla stessa ora in cui anche la moglie e le sue bambine erano in preghiera.

Molti sono stati i Papi che hanno tenuto in grande considerazione il Rosario, raccomandandolo all’attenzione e alla pratica del popolo cristiano, incoraggiandone la preghiera e la devozione.

In primis, il domenicano Pio V (1569), che assegnò a San Domenico di Guzman (1701-1231) l’istituzione del Rosario e attribuì la vittoria navale della Lega Santa nella battaglia di Lepanto (1571) all’intercessione della Madonna, alla quale erano state rivolte le preghiere del Santo Rosario.

Fu proprio questo papa ad istituire la festa del Rosario nella prima domenica di ottobre.

In seguito, nel 1573, Gregorio XIII emanò la bolla pontificia “Monet Apostolus” in cui dichiarava la preghiera del Rosario strumento di salvezza per le anime del purgatorio, facendone così preghiera comune in tutta la cristianità.

Tale preghiera consisteva nella recita di 10 Avemarie intercalate da un Padrenostro; nel 1613 vi fu aggiunto un Gloria. Leone XIII (1878-1903), chiamato il papa del Rosario, diffuse più di ogni altro la pratica della recita di questa preghiera perché vide in essa una maniera facile per far penetrare e attecchire negli animi i dogmi principali della fede.

Giovanni Paolo II, nella sua lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, scriveva: «Il Rosario mi ha accompagnato nei momenti della gioia e in quelli della prova.

Ad Esso ho consegnato tante preoccupazioni, in Esso ho trovato sempre conforto». Anche padre Pio da Pietrelcina confidava che, attraverso la recita del Rosario, la Madonna non gli aveva mai negato le grazie che chiedeva.

E quando, negli ultimi giorni della sua esistenza, gli fu chiesto: «Che cosa ci lascia in eredità?», egli rispose: «Vi lascio il Rosario».

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