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Fabrizio De AndréAmico Fragile

Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane
Il mio è un po’ di tempo che si chiama Libero
Potevo assumere un cannibale al giorno
Per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle
Potevo attraversare litri e litri di corallo
Per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci

È uno scatto senza tempo. Arriva alla nostra redazione in un giorno particolare: 11 gennaio 2021. Ventidue anni senza Fabrizio De André. Questa che Dori Ghezzi ha scelto non è una semplice fotografia. È l’essenza di un amore.

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Fabrizio De André: intervista a Dori Ghezzi

  • Capii di aver trovato la persona che poteva condividere le mie vette senza inorridire i miei abissi”. Diceva ancora: “Dori non si sognerebbe mai di venirmi a parlare delle nuvole quando io sto pensando al mare”. Mi piace iniziare questa intervista con queste parole di Fabrizio De André. È stato questo dunque il segreto del vostro stare insieme?

Era la volontà di rispettarci l’un l’altro, di capire i problemi dell’altro. Le nostre rispettive esperienze di vita, sia privata sia sociale e artistica, a volte parallele, inevitabilmente ci avevano in qualche modo aperto una porta facendoci trovare in sintonia per poter condividere il futuro insieme, trovando la forza di superare situazioni famigliari molto delicate e scelte dolorose. Fabrizio ed io ci siamo incontrati in un momento in cui lui sentiva ormai indispensabile un radicale cambiamento nella sua vita. Fu in quel periodo che scrisse l’emblematica “Amico fragile”. La canzone che più di tutte lo rappresenta».

  • Non ho cercato nulla”: hai detto che nella tua vita tutto ti è un po’ capitato… cosa è la musica per te?

Per me la musica è vitale, ma non mi corrispondevano certi aspetti della professione. Tutto ciò che comportava a creatività, stare in uno studio di registrazione e cantare per realizzare nuove canzoni, spesso in quel periodo anche in diretta con orchestra, erano momenti stimolanti e molto piacevoli. Il rovescio della medaglia si presentava nel momento della promozione: televisione, interviste e soprattutto partecipazioni a manifestazioni, a concorsi come Sanremo. Un vero incubo. Il mio carattere, che non prevede esibizionismo o protagonismo, mi penalizzava. Meglio è stato il periodo con Wess. Condividere il palcoscenico ridimensionava la mia ansia. Tutto questo fino al 1990, quando decido di fare un’altra scelta di vita, mantenendo in ogni caso un forte e inscindibile rapporto con musicisti con una sensibilità davvero straordinaria.

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  • Hai cantato con lui nel brano “Khorakhané” dell’album “Anime salve”, mentre nella versione live il pezzo è interpretato con Luvi, vostra figlia. Fabrizio De André amava le donne della sua famiglia. «Ho una grande stima di mia madre, il Vinavil della famiglia», diceva. Il suo rapporto con le donne – a partire appunto dalle donne della sua famiglia – era molto stretto, molto forte… ce lo racconti?

Fabrizio aveva un gran rispetto per la donna, ritenendola l’emblema del sacrificio e di conseguenza più forte dell’uomo. Considerava la Sardegna il suo habitat ideale anche per il giusto equilibrio che regna all’interno dei nuclei familiari. Uno dei personaggi più importanti della storia sarda, eroina, patriota, una grande donna, Eleonora D’Arborea ha aggiornato e rielaborato la Carta de Logu, un testo rivoluzionario, anche per l’attenzione nei confronti della donna. È un documento giuridico che ha cambiato positivamente la Sardegna per sempre e anticipa una sorta di movimento democratico in un periodo ancora medioevale. Fabrizio respirava questa ideale atmosfera naturale nel rapporto fra uomo e donna.

  • In Sardegna, nel cuore della Gallura acquistate nel ‘75 la tenuta L’Agnata, dove vi trasferite nel ‘79. “Eravamo in contatto col mondo pur essendo isolati”. Chi è stato all’Agnata sa che parliamo di un luogo “magico”. Un luogo del quale hai continuato a prenderti cura, perché?

Anche questa realtà è frutto di quella radicale rivoluzione che ci ha travolti in quel periodo. Soprattutto Fabrizio sentiva che era giunto il momento di realizzare quel desiderio che si era ripromesso – ancora bambino – di ritornare a vivere in mezzo la natura dopo aver lasciato a malincuore Revignano D’Asti dove visse felice alcuni anni della sua infanzia malgrado il conflitto mondiale. Fabrizio aveva sin dalla fine degli anni Sessanta eletto come seconda dimora la terra e il mare della Sardegna, diventando così uno dei sempre più numerosi turisti. Un fatidico giorno del 1975 Fabrizio arriva all’aeroporto di Olbia accolto da Giovanni Mureddu, fido autista di Tempio che l’avrebbe accompagnato a Portobello di Gallura.

Mureddu, conoscendo il desiderio di Fabrizio di trovare del terreno per realizzare un’azienda agricola, riferisce a Fabrizio che alle falde del Limbara stanno vendendo più appezzamenti. Ne scegliemmo tre, tra questa l’Agnata suo nome d’origine. Da allora divenne a tutti gli effetti un residente sardo. Si può dire che in ogni caso abbiamo avuto rispetto per la Sardegna, anche se alcuni elementi, come il prato inglese, non sono certo tipici sardi. Ma questo non ha mai ferito nessuno… è una Sardegna certo diversa, ma continua a essere considerata comunque un ritrovo molto amato. Fai chilometri in mezzo alle sugherete, in mezzo a questo territorio incontaminato, e arrivi in una specie di oasi, in un ambiente che non ti aspetti.

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  • Hai scelto di tramandare la memoria di Fabrizio De André dedicandoti alla Fondazione e al Centro Studi Fabrizio De André dell’Università degli Studi di Siena… come scegli i musicisti a cui affidi i progetti, ad esempio quando hai scelto Morgan per interpretare l’album “Non al denaro”, oppure Paolo Fresu per la tappa di “Time in jazz” all’Agnata? Cosa deve avere un musicista per conquistarti?

Non conoscevo personalmente Paolo Fresu, ma sapevo che era un musicista preparato. Morgan era venuto a Roma, in occasione del “Premio De André”, era ospite della manifestazione. Mi è capitato di sentirlo lì per la prima volta. Mi ha conquistata. Ho capito che poteva fare qualcosa di ardito, se vogliamo… rifare tutto un album. Ho pensato che lui potesse essere all’altezza, perché è un vero musicista, e mi sarebbe piaciuto “osasse di più”, gliel’ho sempre detto. (Nel 1971 Fabrizio De André pubblicò l’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River. De André scelse nove delle 244 poesie e le trasformò in altrettante canzoni, n.d.r.). Ho proposto a Morgan di creare due canzoni nuove da altre due poesie di Edgar Lee Masters, ma ha preferito essere molto rispettoso e non ha osato.

  • Il principe libero”, film omaggio a Fabrizio De André, è stato un grande successo al cinema per poi approdare in tv, raccogliendo un altro straordinario consenso. Luca Marinelli ha interpretato Fabrizio De André. Come lo hai scelto, cosa ti ha colpito?

Non avevo le idee ben chiare, perché diversi attori erano in lizza per il ruolo. Lui mi piacque molto. Ho pensato: “Quello giusto sarà quello che dirà: non so se sarò all’altezza di interpretare un ruolo del genere!”, e lui mi diede proprio quella risposta. Poi scoperto che sua nonna Ave aveva in casa il poster di Fabrizio, era una fan. Dunque a lui era rimasto addosso questo mito… ho dovuto insistere un po’ per convincerlo che soprattutto lui sarebbe stato in grado di interpretarlo! La versione del “Pescatore” era talmente simile all’originale che mi chiesero se
fosse lui a cantarla, o se fosse una versione diversa e inedita cantata da Fabrizio. Invece era un Marinelli DOC.

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  • Fabrizio De André e Pfm, il concerto ritrovato” è un viaggio nel passato, un filmato storico riportato nel 2019 all’attenzione del pubblico e racconta del concerto di Genova del 3 gennaio 1979. Puoi raccontarmi un aneddoto di quella esperienza, da te vissuta in prima persona?

Ovviamente si era ritrovato insieme un tipo di pubblico differente, appartenente a due mondi diversi, perché c’era chi amava la Pfm e chi amava Fabrizio… per poi innamorarsi delle versioni di entrambi, tant’è vero che tutt’ora vengono proposte sia quelle di Fabrizio sia quelle della Pfm. Succedeva davvero qualsiasi cosa, anche delle situazioni abbastanza violente. Ricordo che a Napoli avevano arrestato diversi ragazzi e alla fine del concerto ci eravamo trovati in Questura, per cercare di fare liberare qualcuno di loro e ci siamo riusciti, almeno con i ragazzi che non erano recidivi.

Ho raccontato anche quando un altro tizio un po’ violento aveva lanciato una bottiglia sul palco, che per fortuna non aveva ferito nessuno. Aveva poi invitato Fabrizio nel bar lì vicino, fuori dal teatro, perché voleva cercare di scusarsi. Ma nel bicchiere di Fabrizio aveva messo qualcosa, probabilmente un acido, ritrovandoci a rincorrere Fabrizio in un prato. La nostra vita è stata costellata di cose belle e di cose brutte… metabolizzando i ricordi riesci a sdrammatizzarli trovandoci sempre l’aspetto ironico e sorridi.

  • Tutte le sere quando finisco il concerto desidererei rivolgermi alla gente e dire loro: tutto quello che avete ascoltato fino adesso è assolutamente falso, così come sono assolutamente veri gli ideali e i sentimenti che mi hanno portato a scrivere queste cose e a cantarle. Ma con gli ideali e i sentimenti si costruiscono delle realtà sognate. La realtà, quella vera, è quella che ci aspetta fuori dalle porte del teatro, e per modificarla, se vogliamo modificarla, c’è bisogno di gesti concreti e reali”. È una citazione di Fabrizio De André che fa venire i brividi, considerato il particolare momento storico che stiamo attraversando. Tu come vivi questo periodo?

Che prezzo pagheremo (e quando) questo non lo sappiamo. Questa è l’unica domanda che mi pongo. Mi riesce difficile concepire la vera natura di questa pandemia. Mi aiuta pensare che in passato se siamo riusciti a superare epidemie ancor peggiori quando le condizioni igieniche e sanitarie non erano quelle di oggi, possiamo solo ben sperare. Scacciano l’ipotesi che il destino dell’umanità non debba dipendere dalla volontà del profitto. Questo senso di incertezza non mi lascia vivere bene… non tanto per me che ho una certa età, ma per il futuro, per i ragazzi, per mio nipote.

  • In un’intervista un giorno hai detto: «Quello che mi manca di lui è la voce con cui mi parlava…». Ecco, cosa ti manca di più di Fabrizio?

Nel bene e nel male: tutto!

di Luciana Satta

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto di copertina di Fulvia Farassino (per gentile concessione)

Altre foto a corredo dell’articolo di Reinhold Kohl,_Fondazione Fabrizio De André Onlus

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