Dopo la laurea in Lettere Moderne, Paolo Zucca frequenta la scuola RAI per sceneggiatori e si diploma in regia alla N.U.C.T. di Cinecittà. Oltre a due lungometraggi, ha scritto e diretto corti, documentari e spot pubblicitari. Il cortometraggio L’Arbitro ha vinto il David di Donatello e il Premio Speciale della Giuria a Clermont-Ferrand. Il lungometraggio L’Arbitro ha aperto le Giornate degli Autori alla 70° Mostra del Cinema di Venezia. Il suo secondo film, L’Uomo che Comprò la Luna, è stato presentato in anteprima a Busan e alla Festa del Cinema di Roma. Il suo ultimo lavoro che tutt’ora è in fase di produzione è Vangelo Secondo Maria. È nato nel 1972 e vive tra la Sardegna e Roma.
Paolo Zucca, l’intervista
- Quando e come è nata in te la passione per il cinema?
Paolo Zucca: Già dalle scuole elementari mi divertivo con i disegni e le caricature. Raccontavo e inventavo delle situazioni, solitamente in chiave ironica. Dunque un racconto per immagini e parole, caratterizzato da uno sguardo personale. In pratica quello che faccio adesso con i film. Come spettatore vedevo tutti i film che passava il convento, il cinema Ariston di Oristano. Tutte cose molto commerciali: Bud Spencer, lo Squalo, finchè un giorno mia madre mi constrinse a vedere Amadeus di Milos Forman. Fu uno shock indimenticabile: per la prima volta il cinema mi travolse con la tutta sua forza.
- Dopo la laurea in lettere moderne frequenti la scuola Rai per sceneggiatori e successivamente ti diplomi alla N.U.C.T. di Cinecittà. Questa tua esperienza quanto ha influito per il tuo percorso cinematografico?
Paolo Zucca: Durante gli studi universitari a Firenze ho frequentato anche una scuola di teatro, il Laboratorio Nove del Teatro della Limonaia. E’ stata un’esperienza molto importante, non solo dal punto di vista artistico ma anche come sblocco emotivo e personale. Fare teatro è una pratica che consiglio a tutti, fa bene alla salute. Le lezioni della scuola RAI di sceneggiatura erano tenute da docenti di alto livello, in particolare Francesco Scardamaglia dal quale ho imparato tanto, soprattutto a confrontarmi con la struttura narrativa e i suoi snodi in modo più profondo e meno meccanico. Quando ho fatto la scuola di regia forse ero già troppo avanti negli anni per dare credito a qualche docente un po’ improvvisato, ma da cosa nasce cosa: come tesi di fine corso ho girato un brevissimo corto, Banana Rossa, che ha avuto un percorso internazionale molto felice e mi ha portato ad avere dei contatti e dei lavori in ambito pubblicitario.
- I tuoi lavori iniziali, sono cortometraggi, spot per la tv e documentari. Questa fase preliminare pensi sia stata fondamentale per i tuoi lavori successivi?
Paolo Zucca: Come ho appena detto, da cosa nasce cosa, e poi lavorando si impara sempre. Per esempio, una volta ho fatto l’assistente alla regia sul set di un film particolarmente brutto: anche quell’esperienza è stata utile per capire cosa non bisognerebbe fare quando si gira un film. Uno dei lavori più importanti per il mio percorso di crescita è stato l’arbitro corto: ha avuto dei riconoscimenti molto prestigiosi, tra i quali il David di Donatello e il premio della giuria a Clermont-Ferrand, e mi ha dato un credito professionale che fino a quel momento non avevo.
- “L’Arbitro”, il tuo primo lungometraggio, vanta un cast di primissimo livello, come sei riuscito a coinvolgere (tra gli altri) nomi come Stefano Accorsi, Marco Messeri e Francesco Pannofino?
Paolo Zucca: Non è un segreto che l’incontro con Accorsi sia dovuto al caso. Mi trovavo in un bell’albergo di Roma per la presentazione di un corto che girai per Banca Intesa. Ho visto Stefano nella hall, mi sono presentato, gli ho dato una copia dell’Arbitro corto (che portavo sempre con me come biglietto da visita) e gli ho parlato del progetto di realizzare l’Arbitro lungo. La mattina dopo lui mi ha chiamato per dirmi che il corto gli era piaciuto molto e io gli ho risposto che la sceneggiatura del lungometraggio era già a sua disposizione in reception. L’ha letta, gli è piaciuta e abbiamo girato il film. Come corollario di questo racconto, aggiungo che il corto che presentavo a Roma e per via del quale mi trovavo in quell’albergo non è nemmeno un granché. Ma da cosa nasce cosa, ve l’ho detto. Pannofino invece l’ho inseguito con grande tenacia, fino a braccarlo fisicamente. Quando mi ha visto piazzato davanti all’ingresso del teatro in cui si sarebbe dovuto esibire, solo, sotto la pioggia e con due ore di anticipo, probabilmente ha avuto pietà e mi ha detto di sì. Adesso siamo amici, così come lo siamo con Geppi, Jacopo e Benito, anche loro attori di primissimo piano.
- Ci racconti qualche aneddoto che è successo durante le riprese?
Paolo Zucca: Ricordo le formiche rosse dentro le mutande di Cullin seduto sopra un ramo, i coloriti apprezzamenti in Sardo dei giocatori nei confronti di Laetitia Casta (che all’epoca era la moglie dell’arbitro), Benito Urgu che mi proponeva delle battute insulse solo per il gusto di farmi agitare, la scena finale della festa del paese che è diventata la festa del paese.
- Il personaggio di Candido (Marco Messeri) riprende velatamente quello di Innocenzo Mazzini, soggetto coinvolto nell’inchiesta “calciopoli”. Il film racconta tra le altre cose un mondo fatto di compromessi e corruzione, codici non scritti (codice barbaricino). Quando è maturata in te l’idea di girare un film per certi controverso e di denuncia?
Paolo Zucca: Posto che ogni riferimento a fatti o personaggi reali è puramente casuale, mi sono documentato in modo abbastanza approfondito sulle vicende di “calciopoli” e i suoi protagonisti. Alcune battute del film riprendono in modo letterale le intercettazioni telefoniche legate al processo. Il parallelismo tra il tema della corruzione arbitrale e alcune dinamiche del mondo agropastorale sardo nasce da una frase di Sant’Agostino, che era la frase preferita di Samuel Beckett: “Non disperare: uno dei due ladroni fu salvato. Non ti illudere: l’altro fu dannato”. Ho scritto l’Arbitro corto a partire da questa frase, citata in chiusura, raccontando appunto le vicende incrociate di due ladroni: un arbitro professionista colpevole di corruzione e un ladruncolo occasionale di agnelli. L’Arbitro lungo è invece un prequel rispetto al film breve: racconta come tutti i personaggi – alcuni dei quali nel corto sono solo abbozzati – sono arrivati a quella assurda partita finale. L’epigrafe iniziale del lungometraggio recita “tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio” ma avrebbe dovuto citare la frase completa di Albert Camus: “Tutto quello che so della morale e dei vincoli tra gli uomini lo devo al calcio”. Dal mio punto di vista l’Arbitro non è un film di denuncia civile o sociale. Piuttosto è un opera sulla moralità in senso lato, con uno slancio simbolico di tipo religioso e metafisico.
- Jacopo Cullin, Benito Urgu, Geppi Cucciari sono per te come degli amuleti, oltre le loro ottime capacità artistiche rispecchiano in pieno il tuo cinema, volto a cercare un’identità universale. Ci approfondisci questo concetto?
Paolo Zucca: Oltre che degli ottimi interpreti, i tre artisti che hai citato sono anche delle persone dotate di intelligenza, ironia, creatività. I personaggi ai quali Jacopo, Geppi e Benito danno corpo e anima sono nati dal confronto, dallo scambio di idee, dall’ascolto reciproco, non certo da imposizioni unilaterali. Seppure con diversi margini di manovra e libertà, Geppi, Jacopo e Benito sono i co-autori dei loro personaggi.
- “L’uomo che comprò la luna” il tuo secondo lungometraggio, ambientato in Sardegna, è una commedia fuori dal tempo e per certi “surreale”, ma al suo interno è carica di valori e di riappropriazione della propria identità. Tema a te molto caro…
Paolo Zucca: Come spesso ho anticipato agli spettatori in sala durante le innumerevoli presentazioni del film, L’Uomo che comprò la Luna parte come una commedia dissacrante per trasformarsi nella sua seconda parte in un inno consacrante dei valori più profondi legati all’identità dei Sardi. Credo che questo sia uno degli elementi che ha determinato un apprezzamento così forte del film.
- Pensi che il cinema possa essere anche un modo di rivalsa verso la realtà che ci circonda tutti i giorni?
Paolo Zucca: Se qualcuno trova in un film degli stimoli o un motivo per migliorare la propria vita, ben venga quel film. Se un film è di stimolo per una categoria più ampia di persone o per un popolo intero, meglio ancora. Ma confesso di non essere molto ottimista su questo fronte. Spesso l’orgoglio o il senso di rivalsa o di indignazione che un opera d’arte può suscitare durano il tempo di una storia sui social.
- In questi giorni stai ultimando le riprese del tuo ultimo lungometraggio “Il Vangelo secondo Maria”. Puoi anticiparci qualcosa e dove sarà ambientato?
Paolo Zucca: Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Barbara Alberti e racconta la storia di Maria di Nazareth prima della nascita di Gesù. La protagonista è Benedetta Porcaroli, che dà corpo e anima a una giovanissima Maria selvatica e ribelle, molto lontana dal simbolo di composta obbedienza che siamo abituati a conoscere. Giuseppe è Alessandro Gassmann. Nel cast anche Lidia Vitale, Leonardo Capuano, Fortunato Cerlino, Giulio Pranno e uno straordinario Maurizio Lombardi nel ruolo di Erode. Il film è girato interamente in Sardegna e credo che la forza evocativa della Sardegna sarà uno degli elementi di rilievo di questo progetto. Abbiamo girato nell’area archeologica di Tamuli, vicino a Macomer, nei territori di Siddi, Villa Sant’Antonio, San Giovanni di Sinis, Noracugume, Allai, Gadoni, Cagliari, Silanus, Seneghe, Santulussurgiu, Fordongianus, Santa Giusta, San Vero Milis. Spero di non aver dimenticato qualche comune, perchè ovunque siamo stati abbiamo trovato entusiasmo, ospitalità e il massimo supporto.
- Quanto ha influito il cinema e il rapporto con il grande schermo nella vita di tutti i giorni?
Paolo Zucca: E’ difficile quantificare, dato che fare cinema occupa la mia vita a tempo pieno da più di vent’anni. Come spettatore sono invece molto frustrato per l’offerta limitata che la provincia di Oristano offre. Nel futuro prossimo starò spesso a Roma per il montaggio del film. Cercherò di recuperare.
- “Un uomo può cambiare tutto. La sua faccia, la sua casa, la sua famiglia, la sua ragazza, la sua religione, il suo Dio. Ma c’è una cosa che non può cambiare. Non può cambiare la sua passione…” Questa frase di un celebre film penso racchiuda al meglio quanto ci siamo raccontati, non credi?
Paolo Zucca: Nello straordinario film argentino che tu citi, El secreto de sus ojos di Juan Josè Campanella, la passione immutabile che porterà il protagonista a un punto di svolta nelle indagini, è la passione per un club calcistico, il Racing. Anche io sono vittima di una passione calcistica immutabile. E tifo il Cagliari, purtroppo.
BENITO OLMEO
Immagine di copertina di Francesca Ardau
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