Luca-Noce

Luca Noce è un noto artista sassarese che per anni ha lavorato per un gruppo arabo dedicandosi alla valorizzazione di alcune tra le ville più prestigiose della Costa Smeralda. Oggi la sua opera va oltre la pittura e la decorazione parietale e si esprime nell’arredo, nel design e nella scultura. Negli ultimi anni ha firmato anche diverse scenografie per registi sardi. Attualmente vive e lavora a Sassari.

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Luca Noce – L’invasione dei tedeschi

Luca Noce, l’intervista

  • Ho l’impressione che i tuoi lavori ti interroghino costantemente, come se fossi davanti a uno specchio e ti ponessi delle domande.

Luca Noce: La tua impressione, credo sia corretta. Penso che ogni volta si cerchi di fare arte, non si possa fare a meno di guardarsi allo specchio. La ricerca artistica, per come la vedo io è una continua introspezione a volte soddisfacente, altre volte frustante, divertente e faticosa. Ho sempre pensato di dipingere per capire e nell’intento di capire mi pongo infinite domande. Sono convinto che i miei lavori siano ricchi di domande e poveri di risposte. L’idea però, di condividere tutto questo è meravigliosa.

Se guardo indietro e ripercorro fino ad oggi le mie ricerche di carattere artistico, forse trovo poche cose ma abbastanza costanti.

Ricordo che da bambino, facevo di frequente una precisa domanda al mio caro maestro Moretti; gli chiedevo di spiegarmi l’infinito. Con tutti gli sforzi del povero maestro, non mi sentivo mai soddisfatto delle diverse spiegazioni che cercava di darmi. Non riuscivo ad afferrare il concetto. Oggi sono grande e continuo a pormi la stessa domanda.

  • Per vedere la luce, bisogna aver visto il buio”. Ho notato che sei una persona molto riflessiva, questa tua pacatezza e tranquillità mi ha colpito. E’ l’arte che ti scarica a livello emotivo oppure sei sempre stato così?

Luca Noce: E’ sempre strano sentire quale sia la percezione degli altri nei tuoi confronti.

Luce e buio, sembrerà banale dirlo, ma sono due componenti presenti in ognuno di noi in modi diversi. La difficoltà forse sta nell’accettare e vivere anche in modo funambolico questa condizione. Una cosa, non potrebbe esistere se non esistesse l’altra. Il tema, comunque sia, lo vedo strettamente legato alla spiritualità, anche questa, in un modo o nell’altro, presente in ognuno di noi. Credo che possano esistere infinte strade per toccare la luce ad altrettante per toccare il buio.

E’ vero, in parte mi sento una persona riflessiva; se penso per esempio all’atto del dipingere un quadro, sì, devo dire che mi vedo molto riflessivo, posso stare un mese in attesa di dare un colore ad un determinato particolare, soggetto o fondo. Allo stesso tempo vedo sacra la fase embrionale dello stesso quadro, che per me, risiede nel disegno a matita su carta. E’ questo il momento dove tutto avviene, spesso senza capire ciò che sta avvenendo.

Non c’è dubbio, che l’arte per me sia la miglior terapia, è una cosa che ho sempre pensato. A volte penso di essere molto più agitato di quanto il mio corpo possa lasciare trasparire.

…un giorno il maestro Moretti entrò in classe (forse ero in terza elementare), accompagnato da un’altra maestra per farle vedere la mia incapacità di stare fermo, seduto al mio posto. Le disse: “guarda come agita le gambe, non riesce a stare fermo”. Oggi, credo mi avrebbero assegnato un’insegnante di sostegno. Penso di essere stato un bambino difficile, disubbidiente e distratto.

Abitualmente, quando il maestro abbandonava l’aula per qualche motivo, mi metteva in mano una scatola di gessetti colorati e mi assegnava il compito di fare un disegno alla lavagna. In quelle occasioni, entravo nel mio mondo e la terapia poteva quindi svolgere la sua funzione. Ricordo che disegnavo alla lavagna infinite guerre. Il tempo per me scorreva e mi sentivo isolato da tutto il resto. Il maestro, dal canto suo, guadagnava il silenzio in aula visto che era riuscito ad impegnare uno degli elementi di disturbo.

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Luca Noce – Falsi ricordi deformati dal tempo
  • Disamistade letteralmente significa “inimicizia” e per estensione “faida” in lingua sarda. E’ anche il nome di una tua mostra personale e di una canzone simbolo di Fabrizio De André. Come e quando è nata l’idea di portare su tela un argomento così attuale, ma anche delicato?

Luca Noce: “Disamistade” rappresenta una ricerca artistica che mi ha impegnato per diversi anni a più riprese. La prima ispirazione arriva certamente dall’omonimo brano di F. De André. In realtà, però posso dire che la scintilla mi è arrivata successivamente mentre ascoltavo il brano in questione rivisitato da un gruppo locale; gli Andira. Non so spiegare questo, forse semplicemente mi è stato necessario rivivere il brano da un’angolatura differente affinché si potesse scatenare qualcosa.

Ho iniziato come sempre mi accade a disegnare con la matita senza sapere. Più tardi, mi è nata una domanda: “perché dovrei stupirmi di un conflitto mondiale, quando nella mia terra, ci si uccide per molto meno? Per il furto di una pecora?” A volte, penso che per cercare di capire le grandi cose, bisogna cercare di capire le cose più piccole e forse anche quelle più vicine a noi. Quindi sono partito ancora una volta dalla mia terra e poi, in modo naturale, la ricerca si è ampliata fino ad arrivare a toccare l’argomento principale di questo mio percorso che evidentemente, risiede nella relazione tra la donna e l’uomo. Una relazione questa, legata a vari aspetti del sociale, della cultura, della tradizione e della religione. In quegli anni, ricordo per esempio, che parlavo spesso con diverse persone, le quali vedevano nell’infibulazione una “cultura” in qualche modo da rispettare.

Credo fortemente che esistano dei momenti nei quali “dobbiamo” avere la forza di esporci, di prendere delle posizioni precise. Alcuni atteggiamenti radical-chic, politically correct, laissez faire, credo mettano, e all’epoca mettessero in crisi un libero ragionamento. Spero che i quadri in questione possano raccontare ciò che non riesco a spiegare con le parole. Non credo di avere portato all’attenzione niente di nuovo. Credo purtroppo, di avere raccontato a modo mio una “realtà” già vecchia sul nascere.

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Luca Noce – L’impedimento della contraddizione
  • Sisinno Usai scrive di te: “brutti ma buoni (leggerissimi dolci di mandorle) infornati dalle giovani mani di carlotta. i ravioli di ricotta confezionati dalle mani sapienti di mia madre. la nobiltà dell’arte è tale quando somiglia al pane fatto in casa, quando il rito si ripete quotidianamente per evocare ricordi futuri”. Questo concetto mi affascina molto, in relazione al fatto che ho visto diversi tuoi lavori dedicati alle ricette sarde, che concettualmente hanno un’idea molto profonda e significativa. Provi a raccontarci il tuo punto di vista?

Luca Noce: Sin da bambino, ho sempre amato la “Tiricca”, la sua forma mi incantava. Ovviamente amavo anche il suo sapore, è sempre stato il mio dolce sardo preferito. La prima volta che dipinsi una “Tiricca” era il 1994, era un piccolo quadretto. Nel 1997 dipinsi un grande quadro che raffigurava una “Tiricca” gigante sanguinante sospesa in un profondo cielo blu. Ancora non sapevo cosa significasse per me questa “cosa”. Sapevo solo che amavo dipingerla, amavo guardarla e amavo mangiarla. Anni dopo, dipinsi un nuovo quadro con lo stesso soggetto. Mi sentii uno stupido, per la prima volta, mi accorsi che quella “Tiricca” era una spirale. Pochi anni dopo, dedicai un’intera mostra alla “Tiricca”, in quest’occasione, realizzai un lavoro in cui provai a concettualizzare questo dolce per me ormai sacro.

La “Tiricca” è fatta di pane e di vino, i simboli della passione di Cristo, è fatta di luce e di buio, è una spirale che racchiude in sé tutto quello che non riuscirei mai a raccontare. La “Tiricca” rappresenta la luna e l’universo. Per arrivare a capire cosa racchiudesse questo fantastico dolce, credo sia stato necessario non capire niente per diversi anni, dipingerla e ridipingerla in modo quasi quotidiano per svuotarla del suo naturale significato per scoprirvi al suo interno un nuovo universo.

Questo affascinante concetto di Sisinnio che hai citato, credo si riferisse in particolar modo alla Tiricca.

In seguito, ho iniziato a dipingere alcune ricette sarde. Ho pensato che in questo mondo sempre più uniformato e omologato, sarebbe stata una cosa carina, lasciare ai posteri degli appunti in modo da non dimenticare chi eravamo e cosa mangiavamo. Per conoscere noi stessi, probabilmente dobbiamo conoscere il nostro passato. Conoscere le nostre origini potrebbe aiutarci ad essere più liberi.

Mangio sempre volentieri una “Tiricca”.

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Luca Noce – L’apparizione di Milis
  • Quanto ha influito nel tuo lavoro nascere e vivere in Sardegna, terra che tu ami visceralmente?

Luca Noce: Che dire, credo che ognuno di noi, soprattutto operando in ambito artistico, almeno una volta nella vita abbia pensato di andare via da questo bellissimo posto. Anche io più di una volta credo di averci pensato, ma penso mai seriamente. Se fossi nato da un’altra parte forse non avrei mai dipinto una Tiricca. Amo questa terra, ci sono nato e fino ad oggi, ho scelto di viverci. Sono rimasto per amore, per vigliaccheria, per comodità o pigrizia per nostalgia e per ispirazione.

Penso che in ogni mio quadro posso trovare in qualche modo la Sardegna, è una cosa che fa parte di me. Dico questo anche riconoscendo quanto in diversi modi tutto ciò possa essere stato un limite, ma alla fine penso che se tutti andiamo via, qui non rimane nessuno. Con questo, sia chiaro che non ho nessuna intenzione di prendermi alcun merito. Amo questa terra e il raccontarla è più forte di me. La racconto anche quando cerco di non raccontarla.

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Luca Noce – Visione in uno stazzo
  • Oltre la pittura ti sei avvicinato ormai da diversi anni alla scenografia. Quando è nata in te la necessità di avvicinarti a questo mondo che sembra lontano dalla pittura, ma in realtà è correlato?

Luca Noce: In realtà, il mio avvicinamento alla scenografia cinematografica non è stato proprio una necessità. Direi che ci sono caduto dentro, o che forse mi ci hanno tirato dentro per le orecchie, il che, non mi è dispiaciuto affatto, anzi…

Nel 2013 ebbi la fortuna di incontrare nel mio studio Grazia Porqueddu e Bonifacio Angius. Conoscevo Grazia, e pochi anni prima, mi aveva curato una mostra personale. Non avevo mai incontrato Bonifacio, il quale, mi propose di curare la scenografia del suo prossimo film. Lusingato, quanto spaventato, gli dissi che non avevo mai fatto questo lavoro. Sereno e fiducioso, mi rispose che avrebbe voluto collaborare con uno scenografo che non avesse mai fatto cinema, in quanto privo di schemi e quindi potesse avere un approccio più libero.

Ovviamente, terrorizzato quanto entusiasta, accettai il lavoro e fu così che firmai da scenografo il mio primo film “Perfidia”. Indubbiamente, devo a Bonifacio il mio avvicinamento al mondo del cinema. Non lo ringrazierò mai abbastanza per la fiducia che ha riposto in me in quell’occasione, e non solo in quella. Da parte mia, posso dire di avere avuto la fortuna di arrivare a quell’appuntamento, non dico pronto, ma con una varietà di esperienze in ambito artistico, tutte utili alla professione dello scenografo.

In tanti anni di attività artistica, mi sono occupato di decorazione e allestimento, di scultura e design, arredo, grafica e ovviamente pittura. Vedo la scenografia, come un grande contenitore che al suo interno racchiude tutte queste cose. Un’inquadratura cinematografica, ha una relazione tra gli spazi e i colori che non si allontana molto dalla composizione di un quadro pittorico. Certamente sono due cose totalmente distinte, ma l’attenzione ai cromatismi è molto simile, e questa è una relazione alla quale mi sento di prestare molta attenzione. Da un punto di vista pratico, e sicuramente meno artistico, un’altra cosa importante nella scenografia cinematografica è l’organizzazione e la pianificazione del lavoro in funzione soprattutto della cronologia del film.

In passato, mi sono trovato spesso a coordinare squadre di lavoro, ed il fatto, di essermi trovato più volte a capo di un progetto, mi aiuta molto nella necessità di riconoscere e rispettare il “sogno del regista”. Non dimentichiamo, che la scenografia è un’arte applicata. Questo significa che ove vi sia della libertà di espressione, deve sempre essere funzionale alla riuscita del film e quindi alla visione del regista, al suo sogno. Tutti noi, tutte le maestranze all’interno di un film, sono utili affinché possa prendere forma la visione di un singolo; quella del regista. Il cinema, credo abbia la capacità di contenere al suo interno tutte le espressioni artistiche e/o arti applicate.

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Luca Noce – La leggerezza dell’essere
  • Nella tua creatività hai esplorato diverse correnti pittoriche, ti sei anche dedicato alla decorazione e hai fatto un corto in stop motion. Ci racconti questi diversi momenti della tua carriera artistica?

Luca Noce: Nella mia vita, ho avuto la fortuna di spaziare nel mondo dell’arte e di spostarmi in modo quasi schizofrenico da una disciplina all’altra. Continuo a sentirmi in qualche modo fuori luogo in qualunque posto. Da una parte è una bella cosa, perché non sai mai cosa farai domani, dall’altra mette un po’ a disagio, appunto perché non sai cosa farai domani.

Di sicuro, mi sento di amare la creatività in qualunque forma essa si presenti e mi sembra di non potere vivere senza questa “cosa”.

In un modo o nell’altro, tutte le arti applicate hanno diversi compromessi ed hanno inoltre una funzione ben precisa. Questo non le sminuisce affatto, ed al loro interno può esistere indubbiamente una “libertà espressiva” in diverse forme. La pittura, in questo senso, la intendo come una pura “libertà espressiva” priva di compromessi di qualsiasi genere. Il fatto che io venda o no un quadro, non è per me un problema, solitamente dipingo quando ne ho bisogno. Non sono un pittore come non sono uno scenografo o un decoratore. Mi sento sempre un Luca Noce prestato a qualcosa…

All’interno delle arti applicate, forse l’esperienza più completa e più vicina al mio essere, è stata quella dedicata ad una villa in particolare, di proprietà di un gruppo arabo in Costa Smeralda. In oltre dieci anni di lavoro, direi a tempo pieno, ho avuto la possibilità di spaziare dalla decorazione pittorica di interni ed esterni, alla scultura da interno o da giardino, al design, all’arredo fino alla realizzazione di scenografie dedicate per svariate feste tematiche svoltesi tra yacht, giardini e bordo piscina.

Forse questa è stata la mia condizione ottimale. Qui ho potuto vivere varie fasi lavorative, dalla progettazione alla realizzazione finale e soprattutto un’enorme diversità nelle varie tipologie di opere. All’interno di questa esperienza artistica e professionale, la creatività non aveva limiti. Vi erano tutte le condizioni non solo dal punto di vista artistico e creativo. Inoltre, posso dire di avere vissuto un ottimo rapporto sia con la committenza che con il mio amico e socio Federico Soro con il quale siamo riusciti a dare vita a innumerevoli progetti.

Anche all’interno della mia ricerca personale di carattere pittorico, credo di spostarmi in modo ugualmente schizofrenico anche se mi sembrano chiari e quasi dei punti fermi i continui e rassicuranti ritorni. In qualunque condizione, la pittura è stata sempre una costante in alcuni momenti più presente in altri meno. Non so se potrei vivere senza questo, e non so se potrei vivere facendo solo il pittore… forse da grande…

Per quanto riguarda il corto in stop-motion, devo dire che è sempre stato un mio desiderio, almeno una volta nella vita cimentarmi nella realizzazione di un’animazione di questo tipo. Da totale autodidatta, mi sono trovato a giocare con la plastilina in un progetto che mi ha assorbito per circa sei mesi. Qui vorrei citare Peppino Anfossi che oltre essere un caro amico e mio compagno di tante avventure, come me ha sempre avuto il desiderio di concretizzare un progetto di questo tipo. Senza la sua collaborazione mi sarei trovato in grande difficoltà.

Per dare vita a progetti di questo tipo, ci vuole tanta passione e dedizione, un committente generoso e coraggioso e soprattutto ottimi collaboratori.

  • Cosa significa per te a livello umano e artistico, creare qualcosa che abbia un senso e trasmetta un’emozione?

Luca Noce: Questo significa moltissimo. Credo che nel momento in cui si crea qualcosa capace di suscitare o trasmettere delle emozioni, si sia toccato per un momento un qualcosa di sacro. L’aspetto umano, in questo particolare momento coincide con quello artistico, perché sono la stessa cosa. Potremmo vivere solo per questo.

  • Un aneddoto che ti è rimasto impresso durante tutti questi anni di lavoro?

Luca Noce: Avevo ventisette anni, stavo preparando la mia prima mostra personale. Incontrai un gallerista il quale vide i miei lavori e si soffermò in modo particolare su un testo che avevo scritto ispirato dal quadro più rappresentativo della mostra: “L’impedimento della contraddizione”. Dopo avere letto il testo, mi guardò con uno strano sorrisino compiaciuto e mi disse: “ti piace Hegel…?” io rimasi un attimo in silenzio, poi risposi con un sorrisino credo simile al suo e accennai un timido sì con il movimento della testa.

Ovviamente non conoscevo Hegel.

Mi vergognai come una capra della mia ignoranza, ma allo stesso tempo, mi sentii orgoglioso del fatto che lui abbia potuto pensare che io apprezzassi la filosofia di tal Hegel.

  • Pensi che l’arte possa essere un mondo per salvarsi dai propri fantasmi?

Luca Noce: Non credo che l’arte ci possa salvare dai nostri fantasmi, credo che ci possa aiutare a riconoscerli e credo ci possa indicare le vie per una civile convivenza. Il punto sta nell’imboccare la via giusta, ammesso che ci sia “una” via giusta.

Di rito la mia ultima domanda chiede all’intervistato di raccontarsi, ma penso che queste tue stesse parole ti rappresentino al meglio: “Più volte ho ricercato la luce – altre volte il buio – spesso mi sono trovato solo nudo parte della terra dentro la terra – spero sempre nelle trasparenze di una veste che ricopra le sorti del mondo – oggi sono qui in quanto vivo – una parte di me vuole un’altra no – sogno inconsapevolezza di vivere – sogno continuamente la ricerca della luce – aspetto il giorno in cui scoprirò la luce sotto di me – sto sempre bene quando guardo il cielo”.

di Benito Olmeo

Foto di copertina ©Marco Sanna

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