Bertas

I Bertas: Fino a quando avrai canzoni da cantare la voce non si stanchi, la voce non ti manchi mai!

Casa Dau, a Sassari, è un edificio dei primi anni del Novecento. In questo palazzo antico si respira la storia della città, sin dalla rampa di scale dai gradini alti che percorriamo per arrivare allo studio di registrazione dei Bertas. Mi accompagna l’amico Salvatore, che della più longeva band sarda è grande fan. Ciò che da subito mi colpisce è il collage di fotografie, tantissime, attaccate al pannello esposto sulla parete. Il passato dei Bertas è lì, in quei visi di ragazzi, nei capelli e negli abiti degli anni Settanta e ora, oggi, in tutti quelle esperienze impresse sui loro volti. In tutti quegli aneddoti racchiusi in quegli scatti. Quante storie, quante vite.

I Bertas con Luciana Satta durante l’intervista

Bertas, l’intervista

  • Siamo nati nel 1965, facciamo musica, e non sappiamo se mettano più paura gli anni alle spalle o l’idea di non averne altrettanti”… che significato ha per voi questo pensiero?

È una frase che per noi dice tutto. Se non avessimo avuto questa idea del futuro e del passato, avremmo smesso già trent’anni fa. Nella nostra lunga storia ci sono stati molti momenti in cui ci siamo guardati in faccia, alla fine di ogni stagione, e ci siamo detti “Che facciamo, continuiamo?” Ci abbiamo pensato due, tre volte. In realtà poi abbiamo capito che non aveva nessun senso smettere, perché il fatto di continuare a fare musica insieme ce l’abbiamo dentro. Continua a essere impensabile lasciare. Certo, la paura che il futuro non sia molto lungo, data l’età, in realtà c’è… ma non ci pensiamo, guardiamo sempre oltre, alle cose che dobbiamo fare. Questo forse ci ha aiutati nel corso di quasi sei decenni di attività musicale.

Enzo Paba

Quando ho scritto questo pensiero, ho espresso forse quello che ci disturba. Capita ci venga chiesto: “Ma non siete stanchi, non avete voglia di smettere, non vi sentite vecchi?” A noi non succede. Ciò che ci succede è di valutare le esperienze che abbiamo fatto con il dispiacere di renderci conto che non potremo farne altrettante per lungo tempo… perché, avendo tutti sui sessant’anni, è così! Premetto che loro sono i Bertas, ma io mi sento parte della famiglia. Gli anni alle spalle hanno un’importanza e un peso, nel senso che dobbiamo onorarli. Quelli
davanti non potranno essere altrettanti e ci dispiace, perché la voglia di fare musica è la stessa. Cerchiamo di evitare l’inerzia, l’idea di dire “riposiamoci un po’”. Forse in questi ultimi anni abbiamo fatto di più, rispetto a quando avevamo maggiore freschezza fisica, proprio perché l’idea di voler vincere la “vecchiezza” (non la “vecchiaia”) è più forte. Poi, come diceva Enzo, ci spinge l’amore per quello che facciamo.

Franco Castia
  • Tanti gruppi si sciolgono, a volte perché i componenti non vanno più d’accordo, nascono incomprensioni, litigano… qual è stato il vostro segreto per andare d’accordo, per mantenere vivo questo “collante” tra voi? Suppongo abbiate vissuto anche periodi di crisi: come avete fatto a superarli e ad andare avanti?

Tutti noi abbiamo saputo anche vivere alcuni “compromessi”, nel senso che ovviamente se sappiamo che a Enzo dà fastidio qualcosa, o a Marco altro, cerchiamo comunque di andare avanti. Bisticciamo spesso, ma alla fine la pizza ci sta sempre!

Mario Chessa
  • Su cosa bisticciate di più?

Sulla musica soprattutto! Però sono litigi costruttivi, necessari (ride, n.d.r). È così da tanti anni…

Mario Chessa

In realtà chi entra a suonare in un gruppo, nel gruppo deve sapere vivere. L’ho capito sin da ragazzino: per poter andar avanti bisognava saper “cedere”, a volte, lasciare il passo anche agli altri, concordare cose che non sono sempre “sposabili” personalmente. Il segreto è dare spazio a tutti, come in una squadra di basket, per fare un esempio: un po’ per tutti e siamo andati avanti sempre tutti insieme. Abbiamo un obiettivo, un compito, che è quello della squadra: così abbiamo sempre cercato di reggere e di proseguire con questo spirito… sempre…

Marco Piras
I-Bertas-Concerto
Foto Gianmichele Manca
  • Ad Antonio Costa e alla sua caparbietà risale la nascita dei Bertas. Andiamo indietro nel tempo, negli anni: come nasce la storia dei Bertas, come vi incontrate?

Noi seguivamo già i Bertas quando ancora non ne facevamo parte, nel senso che eravamo più piccoli di loro. Io sono anche cugino di Carlo e di Antonio Costa. Seguivo i Bertas per motivi anche “familiari”. Antonio ha fondato i Bertas andando via da un altro gruppo sassarese, i Baronetti. Dopo sei anni sono subentrato io, poi è arrivato Marco, che allora aveva 17 anni, infine si è aggiunto come paroliere Franco e così tutti gli altri… è stata una specie di staffetta. A un certo punto, Antonio ha mollato per seguire la Canepa e l’Ente lirico De Carolis. Lui componeva. Una volta andato via lui, siamo stati costretti a continuare a comporre per proseguire l’attività. E così siamo arrivati ad oggi

Mario Chessa
  • Fino a quando avrai canzoni da cantare la voce non si stanchi, la voce non ti manchi mai”: che cosa rappresenta la musica per i Bertas?

Credo che in questa frase ci sia l’essenza di quello che facciamo. La voce per noi ha la supremazia sullo strumento. Io ricordo che quando si entrava a far parte dei Bertas (molti hanno fatto parte dei Bertas in questi anni – in tutto 26 persone –). Chi entrava nel gruppo, più che saper suonare uno strumento, doveva saper cantare, doveva avere una voce che fosse compatibile con quelle degli altri componenti, perché la cifra dei Bertas sono i cori, lo è sempre stata. Quando c’era Carlo, quando c’era Giuseppe Fiori, il nostro compianto Giuseppe, in realtà eravamo quattro voci soliste, veramente complementari. Ognuno aveva le sue caratteristiche: c’era quello che aveva la voce più “graffiante”, o quello più melodico… queste quattro voci si incastravano molto bene nei cori e, soprattutto, nella scelta dei pezzi da eseguire. Era ed è la voce quello che caratterizzava i Bertas. Gli strumenti devono essere ovviamente suonati bene, col loro giusto impatto, con il giusto fraseggio, ma la vocalità e la coralità sono sempre state le nostre caratteristiche principali. Tant’è vero che poi abbiamo aggiunto dei coristi che ci supportassero in questo campo. Questo è appunto il senso della frase: la voce non si stanchi, la voce non ti manchi mai…».

Enzo Paba

Dopo l’esperienza della messa in sardo, dove avevamo sperimentato il doppio coro, abbiamo avuto l’esperienza del tributo a Brian Wilson e alla musica dei Beach Boys. Anche lì entravano dodici voci, non simultanee, ma diversi cori che si sovrapponevano. Oggi ci stiamo sperimentando nel doppio coro, riusciamo a fare due cori all’interno dei nostri ultimi brani che sono in produzione adesso… per cui la responsabilità vocale è aumentata ancora di più. Ci aspettiamo che la voce regga, perché tutti i nostri progetti sono ad alto livello vocale

Marco Piras

La frase nasce con una canzone del ’93, con “Amistade”, che era un album di rifondazione, perché per la prima volta i Bertas hanno fatto una scelta di campo, cioè hanno deciso di presentarsi con un repertorio personale, originale. Quell’album ha rappresentato una svolta. Al centro è sempre la voglia di cantare, continuare ad avere quella passione, quella spinta verso la musica. Inizi a pensare che ci sono tante componenti dovute all’età che non puoi governare con la buona volontà. Quando dovrai salire sul palco a 85 anni… vanno bene, Enzo? (si rivolge a Enzo Paba, ride n.d.r.)

Franco Castia

Ci son sempre le ambulanze! (ridono n.d.r.)

Enzo Paba
Marco-Piras-Bertas
Marco Piras, ritratto fotografico
  • Non si vive una volta sola: avevate scelto gennaio 2021 per presentare questo album, col chiaro intento di lasciare indietro la passata stagione. Come è stato l’anno appena trascorso per i Bertas?

Abbiamo approfittato di questo periodo. Abbiamo sperimentato nuove forme di collaborazione perché, essendo con il lockdown costretti a stare a casa (e gran parte dei musicisti è organizzato e dotato di mezzi per poter registrare per conto proprio a casa), abbiamo progettato così: abbiamo mandato una base, Francesco Piu ha fatto delle sovrapposizioni al nostro brano, registrando la sua parte a casa sua. Poi ci sono state anche altre collaborazioni importanti. Abbiamo dunque sfruttato il periodo nel modo migliore possibile».

Mario Chessa

Forse ti riferivi al fatto che i musicisti hanno pagato un prezzo molto alto perché c’è il problema che tanta gente vive di musica, non soltanto i musicisti ma i tecnici, gli stessi nostri coristi. Il musicista in sé ha utilizzato quel tempo per studiare, per provare nuove sonorità. Da quel punto di vista questo ha fatto bene ai musicisti, tutto il resto è da dimenticare!

Enzo Paba
  • Giuseppe Fiori (ha militato con i Bertas fino al 1979 per dodici anni, cantando e suonando la batteria, n.d.r.) è mancato di recente. Gli avete dedicato un pensiero molto bello nel vostro album e anche sulla vostra pagina ufficiale di Facebook: “I Bertas sono nati nel 1965, ma i Bertas sardi sono nati con Badde Lontana e Badde Lontana è nata con la voce di Giuseppe Fiori”. Cosa ha rappresentato per voi?

Il primo incontro con la musica sarda è nato con Giuseppe Fiori. Quando Antonio ci ha proposto Badde Lontana ci siamo accorti che sembrava molto strano che noi potessimo cantare in sardo. Giuseppe era l’unico che forse poteva essere più adatto di noi a cantare in sardo. Ancora adesso il cantare in sardo ci condiziona un po’, perché secondo noi si sente che non siamo di madrelingua sarda, un po’ come nel caso di Andrea Parodi o dei Tazenda, insomma. Giuseppe aveva una capacità di interpretazione con una passione che forse noi non avevamo. Avevamo altre caratteristiche, è stato giusto che la cantasse lui. Era il ‘73 quando loro (senza di me) la presentavano nelle piazze, poi io sono entrato nel gruppo nel dicembre del ‘74 e nella primavera del ’75 abbiamo registrato Badde Lontana.

Enzo Paba
Mario-Chessa-Bertas
Mario Chessa, San Donato
  • Avete portato la vostra musica nelle carceri, nelle comunità di recupero, avete suonato nel carcere di Alghero, nel locale della biblioteca intitolata a “Fabrizio De André”, a San Sebastiano, al centro Maria Madre dei Poveri (La Crucca). Avete detto “Tutte le volte, immancabilmente, alla fine della giornata, il disagio maggiore l’avevamo provato noi, nell’allontanarci da quelle sofferenze per tornare alle nostre fortune…”

Abbiamo suonato nelle carceri ma l’esperienza nella Comunità di recupero La Crucca è stata un’esperienza ancora più forte. Lì ho conosciuto una realtà che mi ha arricchito, ma è stato come un pugno allo stomaco.

Enzo Paba
  • Nel 2015 avete festeggiato in musica al teatro Comunale di Sassari il vostro 50° anno di attività. Che ricordo vi resta di quella giornata?

Non avremmo mai immaginato tanta stima da parte di colleghi musicisti con i quali non ci vediamo mai o comunque in rare occasioni. Ci hanno onorati con l’esecuzione dei nostri brani, è stata una soddisfazione pazzesca. Sentire i nostri brani riarrangiati in maniera sopraffina, e così sentita, è stata una soddisfazione grande e non finiremo mai di ringraziarli per questo sforzo nei nostri confronti. Tra l’altro ci siamo resi conto di quanta bravura ci sia in Sardegna, anche se in realtà abbiamo sempre saputo che rispetto al numero di abitanti l’Isola offre un panorama artistico notevole. Ma vederli così, tutti insieme, preparati, è stato davvero emozionante!

Marco Piras

All’inizio avevamo pensato di coinvolgere tutti coloro che avevano fatto parte dei Bertas. Questa era l’idea iniziale, però era molto complicato organizzarla, invece poi si è scelta questa strada.

Enzo Paba

Adesso vediamo cosa riusciamo a fare per i 60 anni!

Mario Chessa
  • Como cheria” ha compiuto ventotto anni. È un brano che vi ha segnati, è la vostra canzone più popolare, dopo “Badde Lontana”. Come è nata e perché dopo tanti anni resiste al tempo e alle generazioni?

Quando abbiamo registrato l’album “Amistade” dovevamo scegliere un brano che aprisse il disco, che poi è di solito quello che viene trasmesso in radio. Seguendo un consiglio, avevamo scelto “Noranta” ma alla fine è il pubblico che decide! Ci accorgevamo che “Como Cheria” era il brano che andava di più, quello che eseguivano maggiormente durante le serate, nei piano bar, nei gruppi, nelle piazze. Gran parte dei musicisti sardi lo usavano nel loro repertorio. Così sono passati 28 anni e c’è stato sempre un crescendo, dal 1993.

Enzo Paba
  • Secondo voi perché la gente è attirata da questo pezzo? Che cosa ha in più rispetto ad altri vostri brani?

Se lo sapessimo ne avremmo scritti altri venti! (ride n.d.r). Quando abbiamo suonato all’Anfiteatro romano di Cagliari per Emanuela Loi. Avevamo fatto due o tre pezzi e questo era piaciuto tantissimo, lo ricordo particolarmente.

Enzo Paba
  • Raccontare la storia dei Bertas è come scavare in un pozzo senza fondo e allora chiedo direttamente a voi di scegliere un aneddoto curioso o divertente della vostra lunga carriera che ricordate in particolare.

C’era la premiazione di una corsa di cavalli e a quel tempo i palchi non erano come quelli di adesso, ma c’erano i tavoloni che arrivavano dalla base fino al palco con dei gradini. A un certo punto chiamano il vincitore del primo premio e questo sale sul palco col cavallo! Era completamente sbronzo e non riuscivano a tenere il cavallo. Farlo scendere dal palco insieme al cavallo è stato molto difficile!

Mario Chessa

Un’altra volta ci siamo trovati in mezzo a due fazioni che si lanciavano delle arance. Abbiamo continuato a suonare con queste arance che passavano da una parte all’altra del palco!

Marco Piras

Non erano per noi… ma insieme alle arance lanciavano anche le pietre! (ridono n.d.r.)

Mario Chessa

Ricordo che i nostri concerti (parliamo degli anni Settanta) duravano tre ore… erano tante! Eseguivamo un repertorio vastissimo, a volte facevamo anche qualche pezzo in più. I comitati ci dicevano ogni volta che avremmo dovuto continuare a suonare. Ci dicevano: “No! Dovete continuare a suonare! Ci sono stati i Nomadi una settimana fa e loro hanno suonato cinque ore!” Noi pensavamo che non fosse vero invece era proprio vero, che i Nomadi suonavano davvero per cinque ore, non li fermava nessuno!

Enzo Paba

Ricordo una delle prima serate che ho fatto sempre negli anni Settanta in un paese vicino a Sassari. Avevano esposto il vecchio manifesto, con la foto dei quattro componenti dei Bertas (precedenti al mio ingresso nel gruppo). A fianco, per un effetto grafico, come in uno specchio erano riflessi sempre gli stessi quattro componenti del gruppo. Alla fine del concerto non ci volevano pagare, perché i componenti erano quattro e invece nel manifesto eravamo in otto! Abbiamo dovuto insistere parecchio per far capire agli organizzatori che si trattava di un equivoco dovuto a un effetto grafico e che nel gruppo eravamo davvero in quattro! (ridono n.d.r.)».

Mario Chessa
Enzo Paba
Enzo Paba
  • Come vi siete avvicinati alla musica da bambini?

Quando avevo sei o sette anni facevo degli spettacolini per altri bambini e cantavo. Dai dodici anni in poi mi è nata questa passione. Non facevo altro che sfogliare un catalogo di una nota rivista di acquisti dell’epoca nella quale vendevano la fisarmonica. Costava mille lire al mese e mamma non poteva comprarmi la fisarmonica. Dunque sono sempre stato fissato con la musica, però non avevo gli strumenti. Ho iniziato a suonare quando sono andato a lavorare con mio zio, che era il padre di Antonio Costa. Lì c’era la chitarra. Antonio Costa mi ha insegnato i primi accordi con la chitarra e io suonavo nelle pause. Quando si è trattato di entrare nei Bertas, Antonio mi ha insegnato a suonare la tastiera.

Mario Chessa

Ricordo che a casa c’era un androne delle scale strepitoso quindi io passavo le ore sulle scale cantando, perché impazzivo per l’eco. Mia madre mi ascoltava e capiva che avevo una passione per la musica. Devo dire che ho avuto dei genitori fantastici, ma una cosa ho sempre rimproverato loro: mi hanno mandato a lezione di piano privatamente. Io facevo le elementari e ho fatto lezioni di piano per tre anni, perché avevano capito che mi piaceva la musica. L’ho studiata dai cinque agli otto anni e ricordo ancora, a distanza di cinquant’anni, l’odore di quei pianoforti. Ogni tanto vado all’orfanotrofio e sento il profumo del pianoforte. Però secondo loro non stavo andando benissimo a scuola e quindi hanno smesso di farmi frequentare le lezioni di piano e questa cosa è stata devastante per me, perché avrei potuto e voluto continuare. Poi a quattordici anni in spiaggia ho iniziato a suonare la chitarra, osservando gli altri»

Enzo Paba

Mia madre era amica del maestro Fiori, era un musicista noto, con Dino Puglia… era amica d’infanzia e mi parlava sempre di Fiori. Un giorno mi ha portato a vedere i BAT 66 e ho avuto la mia folgorazione: ho visto la chitarra elettrica azzurra metallizzata. Avevo dieci anni. Già ascoltavo I Beatles e il loro pezzo Girl. Cercavo di eseguire la melodia con una tavola e una lenza costruita da me. Alla fine mia madre, disperata, mi chiese cosa desiderassi per la quinta elementare. Ho chiesto una chitarra. Mia madre mi ha portato dal maestro Alberto Fiori che suonava la chitarra molto bene e finalmente ho potuto imparare. Dagli inizi si capisce. Io ero il chitarrista del mio quartiere, tutti cantavano e io accompagnavo. Questo mi ha stimolato molto. C’è sempre un momento illuminante. Nel ’66 avere una chitarra elettrica era impensabile. Ci ho messo tanto prima di averne una.

Marco Piras

Loro hanno vissuto il beat e il pop, io sono un pochino più giovane. I miei zii compravano a Cagliari e a Sassari i dischi quindi sono cresciuto ascoltando i Beatles. Poi, la mia vera folgorazione nella musica è stata ascoltare Fabrizio De André. Poi ho conosciuto i Bertas e certo non è stato un incontro come un altro!

Franco Castia

di Luciana Satta

Foto di copertina ©Cenzino Chessa

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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