di Francesca Arca

Il popoloso quartiere di “Luna e sole” a Sassari fin dall’inizio degli anni ’70 ha rappresentato una comunità coesa e variegata che ha continuato a crescere attorno alla chiesa di Mater Ecclesiae ancora adesso simbolo del quartiere stesso.

Il nome, così particolare, ha una storia antica di commistioni religiose e pagane. La luna e il sole sono infatti due simboli frequenti nell’iconografia cristiana della Crocefissione del Cristo. I due astri, che da sempre accompagnano il cammino dell’uomo, vengono raffigurati spesso ai lati della croce a simboleggiare la morte e la rinascita, la natura divina del Cristo e la partecipazione dell’intero universo alla resurrezione dei morti.

Nella nostra città possiamo ritrovare questi simboli anche nella facciata del Duomo di San Nicola e nell’antico portale che dà il nome al quartiere. Ancora presente alla fine di Via Luna e Sole proprio a ridosso della strada che porta verso Monte Bianchinu, il portale – che può essere databile tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 – presentava su entrambi i lati un sole e una falce di luna, ormai quasi del tutto erosi dal tempo.

Abbiamo incontrato l’anziana signora M. P. che si trasferì qui a Sassari da uno dei paesi dell’hinterland proprio negli anni ‘70 e che ha accettato di raccontarci come ha vissuto il quartiere nei tempi passati.

Come mai decideste di trasferirvi?

Perché i nostri figli dovevano studiare a Sassari e non volevamo che viaggiassero. Erano altri tempi. E poi qui c’erano più prospettive di lavoro. Vendemmo la casa e il terreno che avevamo in paese e venimmo ad abitare qui a Sassari. Luna e Sole all’epoca era considerato periferia anche se i prezzi erano alti per le nostre tasche. Ma il quartiere era tranquillo.

Come è stato passare dal paese alla città?

Adesso le differenze si sentono di meno ma quando ci trasferimmo mi sembrò di andare ad abitare in un altro mondo. Era tutto diverso. In paese abitavamo in una casetta piccola a due piani. Qui mi ritrovai in un palazzo con i vicini di casa che non conoscevo. Però alla fine mi sono abituata e mi sono trovata bene.

Che tipo di persone vivevano a Luna e Sole quando vi trasferiste qui?

C’erano molte persone che venivano dai paesi. I sassaresi ci chiamavano “accudiddi”, ma non lo facevano con intento malevolo. Era come un modo per capirsi prima, tra chi era nato qui a Sassari e chi era arrivato dopo. Certo c’era anche qualcuno che non ci guardava di buon occhio ma erano pochi. A volte quando andavo al mercato a comprare la carne mi chiedevano dove abitassi e quando rispondevo che abitavo a Luna e Sole mi dicevano: “Già è fortunata lei, che abita nel quartiere dei signori”. Ma non era mica vero. Forse c’erano quelli che potevano essere considerati “signori”, cioè i sassaresi che facevano gli avvocati, i medici o gli architetti… ma in maggioranza ci abitavano famiglie come la nostra. Gente normale venuta dai paesi. Quando spiegavo che per comprarci casa avevamo venduto tutto e ora dovevamo solo lavorare per campare i figli e non avevamo più nulla da parte, capivano che non era tanto un quartiere di signori ma di gente normale, di lavoratori.

Adesso Luna e Sole è un quartiere molto servito. Com’era all’epoca?

Era proprio periferia. C’erano i palazzi ma oltre le case c’erano gli ulivi. La strada dopo un certo punto era sterrata. Poi pian piano hanno fatto i lavori. Ha iniziato a passare il tram, ma dove c’era la fermata c’era solo un grande prato dove i ragazzini giocavano a pallone tra le sterpaglie. Non c’era molto. Prima di Multineddu, che per noi del quartiere è stata quasi una conquista, andavo a fare la spesa nel negozio di alimentari di signora Assunta e nella frutta e verdura di signor Pietro. Ci conoscevamo un po’ tutti. Ci fermavamo a parlare. Quasi tutti parlavamo in dialetto anche se all’inizio un po’ ci vergognavamo perché eravamo in città e sembrava brutto. Adesso si tiene molto alla lingua sarda ma allora noi non la vivevamo bene, ci sentivamo come più ignoranti rispetto agli altri e allora ci sforzavamo di parlare sempre in italiano in pubblico. Per fortuna adesso non è così.

E la chiesa?

La chiesa era importante. Non a tutti piaceva perché da fuori era moderna. A Sassari, ma anche nei paesi, siamo tutti abituati a chiese antiche mentre Mater Ecclesiae aveva una forma strana quindi molti dicevano che fosse brutta. Però la chiesa è sempre stato il luogo in cui incontrarsi. C’era Don Fiori che è sempre stato molto attento. Il suo sogno era costruire un oratorio per i ragazzi, ci lavorò tantissimo. Era molto legato al quartiere e ai suoi abitanti. Poi mi ricordo Don Peppino e poi Don Franco. Abbiamo sempre avuto sacerdoti che si sono fatti voler bene, ognuno per una caratteristica diversa.

Adesso che sono passati tanti anni si definirebbe “sassarese”?

Ho vissuto più anni a Sassari che in paese. I miei figli sono cresciuti qui e i miei nipoti ci sono nati. Sto per avere anche un bisnipote e anche lui sarà sassarese. Finché ho potuto sono andata a vedere i Candelieri e anche La Cavalcata, che è per me è stata un modo per unire il posto dove sono nata e la città dove ho vissuto. Non sono “in ciabi”, sono una sassarese “accudidda” e proprio perché ho scelto di vivere qui ho sempre pensato di amare Sassari due volte.

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