L’evoluzione – crescita, stabilizzazione, decadenza e abbandono – di San Sebastiano come struttura carceraria è durata poco più di un secolo. Molto meno di ciò che era accaduto per il precedente carcere cittadino (o, meglio, per il più conosciuto, visto che era in compagnia di prigioni e galere più piccole ma non meno fatiscenti e terribili): San Leonardo. Non sappiamo come fosse collocato all’atto della sua costruzione, ma si ritrovò ben presto al centro della città, costituendo (visto lo stato di struttura chiusa e le condizioni igieniche che, di conseguenza, si creavano), un notevole pericolo per la sicurezza e la salute dei cittadini. Costruito, ingrandito, sopraelevato, semidemolito e ricostruito più volte, in un confuso ammassarsi edilizio di ambienti aggiunti uno sull’altro, a seconda delle esigenze del momento, San Leonardo svolse la sua funzione per oltre 500 anni. La “Relazione del Consiglio generale delle carceri al Ministro dell’interno sullo stato e sulle condizioni delle carceri giudiziarie” del 1852 ce lo descrive abbastanza chiaramente: Su quattro livelli sono infatti disposti senza alcuna apparente logica diciassette diversi ambienti che devono contenere, tra inquisiti e condannati, sino a trecento detenuti: ai “segreti” e alle “fosse”, collocati negli umidi e orribili sotterranei dove la luce e l’aria difettano essenzialmente, si sommano la galera, destinata a carcere femminile, le due camere adibite ad ospedale, la cappella nella quale il Parroco, oltre alla celebrazione della Santa Messa, fa alcuna volta, ma di rado, la spiegazione del Vangelo, la cosiddetta “prixionedda” (carcere piccolo), la casa del boia e la stanza della siziata, dove i giudici della città prendono visione del numero dei detenuti, della durata delle detenzioni e dei reati commessi. Costruito nel 1300, fu abbandonato nel 1871 all’atto, appunto, della inaugurazione di San Sebastiano. La sua intitolazione a San Leonardo – ci fa sapere il Costa – risale però solo al XVII secolo. L’ingresso del carcere era in Carra Piccola, in quello che poi diventerà il negozio dei Clemente ed è attualmente un negozio di attrezzature per animali. Lì c’erano i due cancelli, la garitta del corpo di guardia, lungo, oscuro, angusto corridoio, vero antro di bolgia, ove sono pisciatoi e fogne anche scoperte, e dove da poco si tolsero gli attrezzi del patibolo. Quest’ultima – chiarissima – descrizione solo dell’ingresso di San Leonardo, contenuta in un documento del Comune di Sassari del 1866, dà già l’idea della situazione nella quale si trovavano i detenuti in quegli anni all’interno di quelle mura, le quali presentano il più triste e commovente spettacolo che valga ad affliggere l’umanità. Queste carceri non sono luogo di custodia (…) sibbene luogo di martirio, e di martirio orribile. Una tomba fetida, dove si respira un aere insano e mefitico, dove questi esseri giacciono orrendamente accatastati insieme, dove confuso si trova l’innocente col reo, il giovane immacolato col vecchio assassino, dove l’ozio, il malcostume, lo scarso nutrimento, e, ciò che è più, l’eternità del processo, li abbruttisce, demoralizza e condanna alla disperazione. Anche Enrico Costa tenta una descrizione di San Leonardo nel suo “Archivio pittorico della città di Sassari” riportando una piantina conservata – allora – nell’Archivio di Stato di Cagliari. Non sappiamo se la piantina originale fosse esattamente quella ridisegnata dal Costa, che appare più un “riassunto” di una più completa, ma ci fa capire come era sistemato lo spazio interno. E ci fa capire anche che occupava solo una parte di ciò che vediamo oggi nei lavori di restauro della Tipografia Chiarella che ne ha occupato l’area fino al 1998. Il carcere non comprendeva, infatti, l’area verso via Lamarmora, ex cortile del “Palazzo della Pretura” in piazza Tola ed annesso al complesso dai Clemente solo nel 1899, e tutta l’area su via al Carmine, dove il carcere non arrivava ed aggiunta dai Clemente dopo il 1884. Fu quello, infatti, l’anno in cui, dopo vari tentativi di riutilizzo non andati a buon fine, si decise di vendere quelle antiche mura ai Clemente, i quali vi realizzarono il loro prestigioso progetto. Ma non, come si credeva fino a pochi anni fa, radendo al suolo e cancellando dalla memoria quello che era stato il carcere sassarese. Sappiamo ora, a restauro ancora in corso, che di quelle mura molto si è salvato, in una storia ancora, in buona parte, da scrivere.
di Alberto M. Pintus (fotografie di Donato Manca)
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Fantastico… le origini della rivista!