Jacopo Cullin e il coraggio di essere autentico in una intervista di Luciana Satta.
La prima volta che ho provato l’emozione dettata dal suono della risata di un altro è stata come una droga. Ho sempre cercato di imitare, ma senza pensarci troppo. È stato tutto abbastanza istintivo.
Jacopo Cullin, regista e attore noto per le sue innumerevoli maschere che hanno dato vita a personaggi storici (il signor Tonino, Salvatore Pilloni, Angioletto Biddi ‘e Proccu). Una strada, quasi un destino che, nonostante il successo, lo ha tenuto con i piedi ben saldi, senza fargli mai perdere di vista un punto fermo:
Cercare di essere onesto con me stesso, con le mie scelte, per poi trasmetterle anche alla mia parte artistica… ho capito quanto sia importante il coraggio e l’essere autentici. Non faccio distinzione tra l’uomo e l’artista.
Un percorso segnato da tante pellicole di successo. L’ultima, campione di incassi, L’uomo che comprò la Luna, per la regia di Paolo Zucca.
L’intervista a Jacopo Cullin
Come sei arrivato a cimentarti con i personaggi e le imitazioni? È una passione che avevi sin da piccolo?
Ho iniziato a scuola, alle superiori, con le imitazioni degli insegnanti e dei bidelli. Mi piaceva far ridere tutti, mi è sempre piaciuto. Imitavo mio nonno, personaggio che porto ancora in giro per gli spettacoli, e poi il padre del mio amico Roberto, che ha dato vita alla caricatura del “signor Tonino” e al noto tormentone: “OOOOh RRRRoberto!
«A 22 anni, nel 2004 diventi noto al pubblico isolano grazie al programma di Videolina “Come il calcio sui maccheroni”.» Come è nato il tuo incontro con il comico e conduttore Massimiliano Medda e con La Pola?
Il primissimo incontro è stato con una trasmissione di Videolina che si chiamava Cento, simile al format Amici di Maria De Filippi. Massimiliano Medda faceva parte della giuria e mi ha chiesto di partecipare all’apertura di una serata di Sergio Sgrilli, comico di Zelig, all’Anfiteatro di Carbonia. Da lì mi propose di partecipare come ospite a una puntata di Come il calcio sui Maccheroni. Dopo la prima puntata arrivarono le altre tre e, dopo la terza, mi disse che gli avrebbe fatto piacere se fossi rimasto come ospite per l’intera trasmissione. La quarta puntata venne fuori il signor Tonino. Così è nata la collaborazione.
Racconti: «A 23 anni sono andato all’Anfiteatro Romano di Cagliari a vedere Grease, durante lo spettacolo ho detto a Stefania: “scommetti che fra due anni ci faccio uno spettacolo qui dentro?”.» Nel 2006 chiudi il tour di “6 in me” proprio all’Anfiteatro Romano di Cagliari. Un sogno che si realizza… come ricordi quella emozione?
Ti dico la verità, mi sono ricordato di quell’evento solo dopo lo spettacolo all’Anfiteatro. Parlando con Stefania, mia fidanzata di allora, mi sono ricordato di questo episodio. Da allora mi è capitato spesso di avere questa sorta di consapevolezza. Ho sempre immaginato qualcosa di diverso, cioè che sarei andato a Roma a fare chissà cosa per poi tornare da vincitore. Non pensavo di trovarmi a fare un percorso diverso.
Nel 2012 scrivi, dirigi e interpreti il cortometraggio Buio. Come ti sei avvicinato alla regia e cosa ami di questa professione?
Scrivo prevalentemente pubblicità, cortometraggi e un lungometraggio, che spero di poter realizzare a breve. Anche l’approccio con la regia è stato naturale, perché da bambino ricordo che mi cimentavo con una telecamera di mio zio, di quelle che avevano le videocassette dentro, quelle enormi… mi divertivo moltissimo, mi piaceva riprendere il pranzo di Natale, di Pasqua. Recentemente ho rivisto quelle immagini e ho pensato: “Avevo solo dieci anni!”. Eppure c’era, evidentemente, qualcosa che mi attraeva. Mi piace proprio raccontare una storia, non solo la parte visiva. Mi piace emozionarmi, toccare delle corde in maniera delicata con una risata, con un pensiero.
Hai detto: «Sono cresciuto credendo che Gigi Riva fosse un’entità, un mito, un supereroe.» Poi ti hanno chiesto di realizzare quel famoso spot per i giochi estivi Special Olympics e lo hai conosciuto. Come è stato questo incontro?
È avvenuto in maniera molto strana. Mi avevano chiesto di realizzare uno spot, nel quale avrei dovuto dire: “Ciao sono Jacopo Cullin anch’io sostengo Special Olympics!”, è una delle cose che odio di più, perché è molto semplice, ma inefficace. Allora ho pensato a un’idea che potesse essere stimolante, anche per me. Prendendo spunto da un vecchio spot dei mondiali, nel quale i giocatori si tiravano la palla da una città all’altra, e di coinvolgere colui che per noi, per tutta la Sardegna, è il Dio del calcio, Gigi Riva, e ridicolizzarlo. Ovvero fare ciò che mi piace di più, ridicolizzare tutto ciò che forte, tutto ciò che viene percepito come una potenza superiore.
L’ho incontrato a Cagliari, in un ristorante del quartiere La Marina, ci ho parlato, mi ha ascoltato per tutto il tempo, sorrideva, gli ho fatto vedere le immagini dei ragazzi. Quando gli ho chiesto di prendere parte allo spot ha riposto “no”, perché non voleva apparire più dei suoi ex compagni di squadra. In quel momento si era avvicinata una signora tedesca, per chiedergli un autografo. Le ha scritto: “Italia Germania 4-3, Gigi Riva”. Ha accettato di partecipare al mio progetto e si è presentato allo Stadio con cinque palloni, uno per ogni ragazzo.
Poi arrivano L’Arbitro, La stoffa dei sogni, L’uomo che comprò la luna. C’è una scena memorabile di quest’ultimo film di Paolo Zucca dove Benito Urgu insegna al tuo personaggio (Kevin) a diventare un vero sardo. C’è qualche retroscena che mi puoi raccontare? Immagino ci siano stati dei momenti molto divertenti….
In realtà durante le riprese c’è stato pochissimo tempo per lasciarsi andare a improvvisazioni. Il regista è stato molto preciso, anche perché i tempi erano strettissimi. Con Benito lo facevamo un po’ “impazzire”, perché Paolo temeva che Benito potesse tirare fuori una delle sue macchiette, uno dei suoi personaggi tipici. Era il suo incubo peggiore. Diceva: “Mi raccomando, Benito, non fare niente, mi raccomando…”. E io: “Stai tranquillo Paolo…”. Allora lo chiamavano e Benito diceva: “Ascolta Paolo, ma se in questa scena a un certo punto dico: “Ma ti ritiri di lì!”. Dunque più che altro io e Benito ci divertivamo così, a infastidire un attimo il regista (ride n.d.r.). Però è stato bellissimo fare le prove a casa sua, abbiamo provato tre mesi e mezzo prima, volevamo essere sicuri del risultato.
Nel film c’è un cast straordinario, tra gli attori abbiamo visto anche Angela Molina, tu la definisci una “donna meravigliosa”… com’è questa attrice?
A parte la bravura dell’attrice, che ha una carriera incredibile, ha lavorato con i registi più importanti al mondo, è proprio una donna straordinaria. Mi piace questo, perché è ciò in cui io credo. Penso che l’artista non debba essere troppo differente dalla persona e lei è esattamente come la vedi sullo schermo: solare, disponibilissima, caratteristica principale dei grandi attori. Mi sono trovato benissimo con lei. Durante le prove e quando ci siamo visti durante le presentazioni del film, soprattutto alla Maddalena durante il Festival “La valigia dell’attore”, ci siamo veramente divertiti come pazzi, perché lei ha una gioia di vivere che è contagiosissima.
«Ho capito quanto sia importante l’essere autentici.» cosa significa questo pensiero per te?
Vorrei provare a essere sempre Jacopo, un ragazzo normalissimo che fa’ un mestiere bellissimo, che ti dà un sacco di visibilità e ti fa apparire agli occhi degli altri in maniera diversa. È un continuo lottare, perché voglio vivermi le cose belle della vita. Il vero problema è che esiste un limbo, in cima sono tutti autentici. I grandi non hanno bisogno di indossare maschere e questo è quello a cui aspiro io, non essendo grande: a rimanere così come sono, a lavorare con quelle persone, perché anche loro lavorano più volentieri con le persone oneste.
di Luciana Satta
Foto: Francesca Ardau
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