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Il grande tenore Francesco Demuro si racconta in una intervista ricca di spunti. Ringraziamo la fanpage dell’artista per le foto.

Inizi giovanissimo ad esibirti in pubblico con un quartetto chiamato “Mini Cantadores”, per poi diventare uno degli interpreti più rappresentativi con il Cantu a Chiterra. Mi racconti questo legame molto forte con la tua terra e le tradizioni?

demuro3È un legame che porto nel sangue da quando ero bimbo perché sono nato in mezzo a queste tradizioni nel locale di mia madre. Ogni giorno si cantava “a chiterra” e quindi questa musica è praticamente cresciuta con me. Da quando ho raggiunto l’età della ragione, intorno ai 4 o 5 anni, ho cominciato a cantare anche io e a praticare il canto a chitarra; in seguito poi lo praticavo tutti i giorni appunto nel bar di mia madre. Era diventato un’attrazione e venivano da tutte le parti della Sardegna per ascoltarmi. Grazie al “canto a chiterra” ho potuto intraprendere la carriera lirica, perché mi ha dato un tempra fisica e vocale e un’esperienza incredibili.

Nel 2004 fai il tuo esordio a Sassari, al TeatroVerdi, interpretando una parte nel Trovatore. Come avviene questo passaggio dal canto popolare al canto classico?

In quell’occasione facevo la comparsa, cantavo nel coro. Fu il conservatorio a mandarmi in teatro, forse perché avevano visto delle capacità e volevano farmi entrare nel mondo dell’Opera affinché capissi di cosa si trattava.

Nel 2007 al Teatro Regio di Parma la consacrazione nel ruolo di Rodolfo nella Luisa Miller di Verdi: emozioni, tensioni, ma anche tanto onore, passione e studio dietro a questo traguardo. Non è vero?

In quel momento è stato un po’ come capire che c’era un disegno dietro: tutto ciò che avevo fatto fino ad allora era stato per arrivare lì. Si è trattato di un’esperien
za incredibile che mi ha dato un grande lancio: cantavo un’opera impegnativa in uno dei più grandi teatri. Per fortuna a quell’epoca non avevo una grande consapevolezza (ride, ndr), ho cantato con il cuore aperto senza troppi pensieri.

Da lì in poi un’escalation interminabile che ti ha portato nei più grandi teatri del mondo: Teatro di Tokyo, Amburgo, Dresda, Vienna, Detroit, Atene, Londra; e ancora a New York, Opèra De Paris, Arena di Verona. Come ci si sente ad essere cittadini del mondo e confrontarsi con diverse culture, anche a livello umano?

Intanto mi sento sempre più fortunato di essere sardo, nel senso che girando il mondo mi rendo conto della fortuna che abbiamo noi di essere nati in questo paradiso; poi sono felice di aver avuto una famiglia come la mia, dove c’è un’unione incredibile e dove tutti ci si ritrova e si sta insieme. Mi riferisco a una serie di valori che altrove non ci sono più perché hanno lasciato spazio al business, agli affari prima di tutto.

Il tenore calabrese Francesco Anile diceva: “Nella mia voce abitano i personaggi che interpreto. Quando io canto loro vivono”. Condividi questa affermazione?

Assolutamente si, certo. Anche nel mio caso, quando io canto e interpreto Alfredo, sono veramente Alfredo in quel momento. Solo così si può arrivare al personaggio e dare credibilità a ciò che si fa.

Cosa vuol dire, sentire la responsabilità e il peso di sostituire e rendere onore a un collega ad opera già assegnata? Mi riferisco all’interpretazione di Alfredo nella Traviata, al Metropolitan Opera House. L’indomani il New York Times titolava “Con la sua voce dolce e calda Demuro ha salvato la serata”.

03È stato incredibile perché prima di cantare la Traviata ho cantato la Bohème, fuori programma. Era almeno un anno e mezzo che non interpretavo quell’opera ed è stato quello il vero incredibile debutto. Quanto al peso di sostituire un collega, quando uno conosce le proprie possibilità e i propri mezzi è sicuro di sé e va sul palcoscenico. Chiaramente senza sottovalutare le tensioni che un posto del genere può portare ma allo stesso tempo ringraziando il cielo di essere stato scelto per poter essere lì ad esibirti.

L’arte, il teatro, le scenografie, i cantanti. Com’è il mondo della lirica visto da dietro le quinte?

Un mondo abbastanza difficile, si lavora tanto. Per tenere certi ritmi bisogna donarsi davvero anima e corpo, tenersi in forma e fare una vita ipercontrollata, dall’alimentazione allo sport. Lo spettatore vede solo il risultato finale ma dietro c’è un lavoro immenso e un grande sacrificio fisico e mentale.

Di recente con il tuo collega e concittadino Alberto Gazale, è capitato di riflettere sull’evoluzione di certe opere adattate in chiave moderna. Come ti poni in merito? Non pensi che il classico debba rimanere classico?

Da un punto di vista scenografico, in chiave moderna si possono fare degli arrangiamenti ma senza stravolgere quello che il regista e il compositore hanno scritto. Per quanto riguarda la musica, quella è e quella deve rimanere. Capita a volte che si cambino alcune parole ma io sono completamente contrario a questo.

Perché due grandi dell’opera come te e Gazale toccano poco spesso i teatri sardi?

Questo dipende da diversi fattori. Quando riusciamo a venire qui l’affetto delle persone è sempre immenso. Mi ricordo il concerto di Natale a Sassari, in Cattedrale: è stato pazzesco. Però, anche da un punto di vista economico, mettere in scena certe opere è molto impegnativo e qui probabilmente sta il nodo più grosso.

Sei reduce dall’eccezionale performance all’Arena di Verona nei panni di Alfredo, nella Traviata, già indossati sempre a Verona nel 2011: cosa sono e cosa significano i ritorni per te?

Sono conferme. Significa che quello che stai seminando è produttivo, quindi quando un teatro come quello dell’Arena di Verona ti richiama è un grande onore. Vuol dire che si è sulla strada giusta, fa piacere e si continua a fare e a migliorare perché non c’è mai un punto di arrivo e non si finisce mai di imparare. È una continua ricerca e un continuo migliorarsi.

Francesco Demuro uomo, fuori dal palcoscenico, come vive e che filosofia di vita si porta dietro? Leggendo e documentandomi su di te la prima frase che mi viene in mente è “La vita è una lunga lezione di umiltà” di James Matthew Barrie. Mi sbaglio?

Condivido pienamente questa frase, io la penso così, è la mia filosofia di vita. Sono una persona umile perché sono nato nella semplicità assoluta. Sono un cantante del popolo, della gente, delle piazze, dei paesi. La vita vera è questa. Quella che conduco io attualmente è per molti aspetti una vita di cartone ma quella vera è quando sono nella mia terra con i miei amici.

Se per un attimo fossi seduto in platea, solo ad ammirare il teatro vuoto e a riflettere, e ti chiedessi: “Chi è in realtà Francesco Demuro?”, che risposta ti daresti?

demuro2Mah, chi è Francesco Demuro? È una persona che vuole trasmettere, con il canto e con il comportarsi in un certo modo, il fatto che la vita è bella, è magnifica e dobbiamo godercela. Uno che vuol dare emozioni, donare gioia a chi lo ascolta o che, per lo meno, cerca di mettercela tutta per raggiungere questo obiettivo perché si rende conto che è stato un miracolato dal Signore. Mi ha dato un dono che in pochi al mondo abbiamo e provo un grande senso di gratitudine verso la gente, verso chi viene ad ascoltarmi.

di Benito Olmeo
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