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di Daniele Dettori

Proprio come un bambino tanto atteso, trent’anni fa nasceva Theatre En Vol dall’unione di due grandi artisti del settore: Michèle Kramers e Puccio Savioli.

In occasione di questo importante anniversario abbiamo chiesto loro di rispondere ad alcune domande per meglio conoscere i meccanismi, le dinamiche e i protagonisti che da sempre animano le produzioni alle quali ci hanno abituati. Non ci rimane, dunque, che leggerle insieme.

L’intervista

Theatre En Vol ha raggiunto i 30 anni: un tempo sufficiente per tracciare un bilancio. Cosa emerge?

La cosa che maggiormente ci colpisce è il forte cambiamento avvenuto nella società odierna, ma ancora di più la rapidità con la quale i nuovi cicli storici si avvicendano: quasi non si fa in tempo ad adeguarsi al cambiamento che già ne è partito un altro. Quando cominciammo tutto era molto più lento. Basti pensare alla tecnologia di cui oggi siamo tutti un po’ schiavi; l’obsolescenza è rapidissima. Questo, se da una parte potrebbe essere motivo di preoccupazione e di inadeguatezza ai tempi del presente, da un’altra può costituire un grosso stimolo. La tecnologia che tanto avvantaggia lo show business spesso maschera la vacuità dei contenuti. Chi come noi ha avuto un’altra formazione e trascorso può collaborare fortemente a riempire questo vuoto. E questo può costituire elemento di incontro tra le generazioni diverse.

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Ricordate quando avete pensato, per la prima volta, di fondare la compagnia e cosa vi ha spinti?

Eravamo tutt’e due parte di un’altra compagnia. Michelle della compagnia Teatr Osmego Dnia – T8D (Teatro dell’Ottavo Giorno) polacca in esilio a Ferrara e Puccio della compagnia Teatro Nucleo che ospitava T8D. Lasciato il Teatro Nucleo successivamente Puccio ha collaborato anche con T8D. Tutt’e due sentivamo la necessità di un cambiamento e dunque di un distacco dalle compagnie di cui facevamo parte, per uscire da una dinamica di gruppo in cui non ci identificavamo più. Si sentiva il bisogno di sviluppare un proprio linguaggio teatrale e di fare ricerca su tematiche diverse da quelle proposte dalle compagnie da cui provenivamo. Non a caso il primo tema scelto era quello della “ricerca della libertà”. Punti di riferimento di questa nuova avventura erano Grotowski, Kantor, Peter Brook, Teatro Butoh, Living Theatre, Odin Teatret, Els Comediants, La Fura del Baus oltre alle compagnie da dove provenivano artisti visivi come Yves Tinquely e Niki Saint Phalle e la compagnia francese Royal de Luxe che lavora molto con grandi strutture teatrali. Grandi fonti di ispirazione erano anche Hieronymous Bosch, Pieter Breughel, Leonardo Da Vinci, i surrealisti e dadaisti, diversi autori polacchi, il cinema di Wim Wenders, Fritz Lang. Prima di fondare la compagnia theatre en vol c’è stato un tentativo di creare in Toscana una compagnia con un’attrice e una danzatrice. Lì sono state create le prime macchine-sculture che hanno fatto nascere lo spettacolo “Lassù le ali non hanno ruggine”.

Dal 1989 a oggi il mondo ha vissuto sviluppi sociali, politici ed economici importanti, talora tragici (caduta del Muro di Berlino, Tangentopoli, boom del reality show, 11 settembre, crisi economica mondiale; solo per fare alcuni esempi). Ricordate alcuni di questi passaggi raccontati in chiave teatrale?

La caduta del muro di Berlino era nell’aria e non lo sapevamo, quando negli ultimi giorni di marzo del 1989 ci fu il debutto a Napoli del nostro primo spettacolo, che, come dicevamo parte dalla ricerca della libertà attraverso la metafora del desiderio di volare dell’uomo. Nello stesso spettacolo si parla anche di una catastrofe ecologica (il disastro di Chernobyl e l’inquinamento del fiume di Basilea erano avvenuti meno di 3 anni prima). Quasi tutti i nostri spettacoli successivi sono nati dall’urgenza di prendere posizione su fatti o tematiche dell’attualità. In Funtana, un monumento all’acqua va da sé, piuttosto che Monumento-Smonumento sul problema del vandalismo della cosa pubblica; Gernika per dare il nostro punto di vista sulle guerre, per non parlare dell’onnipresente tema del riciclo che ha caratterizzato l’estetica delle nostre produzioni divenendone, in qualche maniera, la cifra stilistica.

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Oggi cosa racconta il teatro e come si colloca nell’era dei social e dei contenuti multimediali?

Il teatro come lo concepiamo noi lavora sulla trasmissione di memoria, emozioni, stimoli alla riflessione e sull’immaginazione attraverso un linguaggio evocativo e immediato che agisce su diversi livelli perché non passa maggiormente attraverso la parola, ma piuttosto attraverso immagini, azioni, evocazioni e paesaggi sonori. Lavoriamo prevalentemente nello spazio pubblico e dunque ciò che il teatro può raccontare a un pubblico abituato o casuale è in primis che lo spazio di uso quotidiano può diventare uno spazio diverso anche se effimero, dove immaginare e sviluppare altri modi di stare, dove incontrare altre persone, scambiare, condividere realmente, fisicamente, empaticamente. Il teatro dunque ha una dimensione sociale collettiva, perché tutti gli spettatori seguono uno stesso spettacolo, recependolo magari in maniere diverse. Ne sono testimoni i pubblici che hanno seguito gli spettacoli del festival Girovagando e che, provenendo da diversi ambiti sociali e grazie all’informalità della piazza, si sono trovati a scambiare punti di vista tra persone di diverse età e provenienza. Il teatro può essere vissuto come un’esperienza forte e totale. Ne hanno dato prova diverse compagnie, dal Living Theatre a Peter Brook, da Royal de Luxe a Xarxa per nominarne solo alcune. Questo tipo di esperienza non può essere sostituita dai social o dai contenuti – direi piuttosto mezzi – multimediali. Il teatro però non li deve vedere come competitore ma come un mezzo da prendere in considerazione e da utilizzare: insomma, una opportunità.

È evidente che oggi come ieri il teatro nei palazzi o nei templi richiama un pubblico ristretto. Se non c’è stata attraverso le scuole una educazione al teatro e se gli spettacoli visti dai ragazzi non sono stati in grado di coinvolgerli o di lasciare un segno forte in loro, è evidente che i social prendono il sopravvento e il teatro si trova perdente. I social lavorano in primis su un livello individuale e dunque solitario, di conseguenza possono al massimo offrire una vaga sensazione di fare parte di qualcosa di più grande, ma ciascuno per conto suo, da solo. Sta dunque al teatro cercare di lavorare con linguaggi che possono toccare e coinvolgere, che possono spiazzare e sorprendere, che possono parlare a chi è affascinato o rapito dai social.

Pensiamo che il teatro abbia il compito di affrontare tematiche di grande contemporaneità e rispondere ad interrogativi sociali, culturali e politici che vanno dalla convivenza multiculturale, alla guerra, all’ambiente.
Non è per caso che il percorso del theatre en vol è segnato dall’approccio interdisciplinare e sperimentale che nasce dalla scelta di un linguaggio che affianca macchine teatrali create con materiali di recupero al lavoro d’attore e alla composizione della colonna sonora partendo dall’improvvisazione per creare uno stile di grande impatto visivo, gestuale e sonoro. Si arricchisce della pirotecnica, dell’acrobatica, della percussione urbana, delle nuove tecnologie applicate alla musica, del teatro danza, della danza verticale, del circo contemporaneo e video-mapping per arrivare a una forma di teatro totale caratterizzato da un linguaggio drammatico, grottesco, ironico, surrealista e assurdo che favorisce l’incontro sociale e culturale tra spettatori di diverse età, origini sociali e culturali.

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I collaboratori sono fondamentali per qualunque progetto. Parliamo di loro e del ruolo di ciascuno.

Sin dai primi passi abbiamo pensato al nostro lavoro come un modo per rapportarci con le altre persone; e questo avviene, in maniera diversa, sia quando siamo in scena che nella gestione del quotidiano. Ovviamente i collaboratori sono fondamentali in tutto questo. Dal 1991 ci siamo costituiti prima come associazione culturale e non molto dopo come cooperativa, proprio per il fatto che abbiamo ritenuto fondamentale l’apporto di altre idee e capacità diverse dalle nostre. Non sempre questo ha funzionato, soprattutto quando le risorse non sono così cospicue. Noi due co-fondatori proveniamo da quella forma di teatro etichettata come “di Gruppo” che aveva già per statuto una abnegazione totale alla causa (retaggio, sicuramente, di antichi credo politici) e quantunque questo sia andato via via attenuandosi solo i più tenaci e motivati (leggi, se vuoi, pazzi) sono quelli che hanno durato più a lungo. Ci sono poi tutta una serie di persone che ci hanno usato come palestra e trampolino di lancio. Ma quella è un’altra storia. Attualmente siamo in 4 con plurime funzioni: Michèle che, oltre ad essere attrice e formatrice, è direttrice artistica e amministrativa. Da più di 10 anni Maria Paola Cordella si è ammalata dell’identico male e, entrata come attrice in sostituzione di un’altra che ci aveva mollato il giorno prima di uno spettacolo, da diversi anni firma le regie della maggior parte dei nostri spettacoli, è formatrice e drammaturga. Fiancheggiatrice già da diversi anni, per 8 come educatrice nel laboratorio teatrale Ge.Na, successivamente come attrice ed assistente alla regia in alcune produzioni, di recente è confluita a tutti gli effetti Simona Serra che si occupa anche della comunicazione sui social e altre amenità. Puccio Savioli, attore e costruttore delle macchine dei nostri spettacoli, ne firma le scenografie pur non avendo mai fatto una scuola per scenografi. Ci sono poi tanti collaboratori esterni alla cooperativa con cui lavoriamo da molti anni come Tony Grandi o Marcello D’Agostino per le luci. Dell’ultima generazione, ed appartenenti al territorio: Alfredo Puglia per paesaggi sonori e consulenza musicale, Claudia Spina per i costumi e, insieme a Giulia Manus, per il supporto tecnico creativo in 8 anni di progetti Habitat Immaginari, Pavlo Hnatenko per le elaborazioni video, Samuele Dore per il progetto di realizzazione degli arredi urbani insieme a 7 persone richiedenti asilo provenienti dall’Africa subsahariana. Nanni Campus, già socio per due lustri e ora curatore di un libro sui nostri 30 anni di esistenza.

In 30 anni avete lavorato con artisti anche di spessore internazionale. C’è qualcuno di loro o un aneddoto speciale che ricordate con particolare piacere?

Nel 2009 abbiamo proposto al Teatro Nucleo di realizzare a Sassari il Progetto Fahrenheit che implicava un impegno particolare anche da parte della nostra compagnia. Questo progetto si basava sul libro di Ray Bradbury, Fahrenheit 351. Teatro Nucleo era responsabile per tutti gli interventi degli operatori Fahrenheit volti alla raccolta e in seguito alla distruzione dei libri, mentre theatre en vol curava la parte del popolo del libro, un gruppo di resistenza agli operatori Fahrenheit, che conservavano la letteratura, imparando a memoria ciascuna un libro.
Prima, all’arrivo degli operatori Fahrenheit, è stata fatta una campagna di affissioni con dei manifesti che ricordavano dei manifesti comunali con il seguente testo:
AVVISO ALLA POPOLAZIONE
Con l’entrata in vigore delle disposizioni Fahrenheit, con le quali si sostituisce l’oggetto libro con diversi dispositivi elettronici, e per adeguarsi alle nuove disposizioni europee, la città di Sassari è stata scelta per la realizzazione di un progetto pilota sperimentale. Il giorno 21 settembre c.a. i cittadini sono invitati a portare i propri oggetti libro ancora in loro possesso presso i luoghi deputati al ritiro. Diverse azioni avranno luogo nella città a dimostrazione di queste disposizioni. I libri sono oggetti obsoleti. Per fabbricarli si abbattono intere foreste. Sono pericolosi veicoli di contagio di molte malattie. Contribuisci anche tu! Ogni libro in meno è un sorriso in più!
Durante delle azioni di distribuzione di volantini da parte di attori in borghese che promuovevano l’Operazione Fahrenheit in favore dell’eliminazione dei libri è stato rilevato, da una parte, che non poche persone credevano davvero che l’annuncio partisse dall’istituzione; dall’altra parte, invece, molte persone interpellate si esprimevano a favore del libro.
Durante il progetto abbiamo fatto delle incursioni come membri del popolo del libro nelle scuole superiori. Inseguiti dagli operatori Fahrenheit ci rifugiavamo nelle classi alla ricerca di protezione da parte degli allievi ma soprattutto per raccontargli i brani che avevamo imparato a memoria. La condivisione di testi letterari anche conosciuti dagli allievi è riuscita a far sentire loro la bellezza e la forza dei brani raccontati, che trasmessi dai membri del popolo del libro assumevano tutt’un altro significato e valore.
Il progetto Fahrenheit è stato di grande impatto e l’ottima collaborazione tra le due compagnie ha permesso che abbia avuto ottimi riscontri. Molte persone hanno in seguito raccontato che il tutto si muoveva tra la realtà e la fantascienza e per cui suscitava inquietudine, dimostrando quali capacità e potenzialità ha il teatro nel coinvolgere il pubblico in una riflessione approfondita.

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Come nasce, a livello di strutturazione, un vostro evento/spettacolo/installazione?

Diciamo che ogni spettacolo è stato ed è, un po’, un viaggio a sé. Quello che li accomuna è una sorta di urgenza-bisogno di dire la nostra su di un tema che ci sta a cuore. Un esempio eclatante è lo spettacolo Gernika, azione teatrale in quattro movimenti. Nell’autunno 2002 si percepivano già le avvisaglie di un prossimo conflitto in Iraq. Invitati da Time in Jazz a partecipare al festival dal tema “il segno dell’artista” abbiamo scelto di lavorare sul tema della guerra. Niente meglio di Guernica, di Picasso, poteva aiutarci ad esprimere il nostro punto di vista sull’argomento.
Puccio riprodusse fedelmente su lamiera alcune delle figure del capolavoro di Picasso nella dimensione dell’originale (349 x 776 cm). Ogni figura è stata armata su ruote, per cui il quadro poteva essere scomposto e ricomposto durante lo spettacolo. Le prime azioni (o scene) dello spettacolo ruotavano intorno al movimento delle singole figure e la loro composizione finale in un quadro che rispecchiava quella del dipinto picassiano.
Nel percorso creativo sono state realizzate altre azioni legate soprattutto alla repressione, alla persecuzione, alla guerra operata da una stanza dei bottoni e al fatto che fu il primo bombardamento aereo nella storia dell’umanità su una popolazione civile inerme, quella del paese basco Guernica durante la Guerra Civile in Spagna. Ovviamente ci siamo documentati ampiamente sui fatti storici, sulla posizione di Picasso nei confronti dell’aggressione.
Nel 2007, dopo un cambio di composizione della compagnia, abbiamo deciso di riprendere in mano lo spettacolo e abbiamo invitato un nostro amico artista visivo, Giancarlo Savino, a far parte dell’avventura. Giancarlo ci ha conosciuto e ha sostenuto a Napoli, agli albori della nostra esistenza. Questa volta non ci bastava esplorare materiali più facilmente recuperabili e abbiamo deciso di andare insieme a visitare la città di Gernika (scrittura basca) e di raccogliere altri materiali storici, iconografici, fotografici oltre a testimonianze. La visita al Museo della Pace di Gernika ha lasciato un fortissimo impatto su di noi e ha sicuramente influenzato molto il nuovo approccio allo spettacolo. Forti di documenti di tutti i tipi abbiamo chiamato degli attori, scenografi e costumisti a lavorare con noi sulla rimessa in scena dello spettacolo. Giancarlo Savino ha curato la regia dello spettacolo basandosi, da una parte, liberamente sull’opera “Le cinque madri” della poetessa contemporanea Maria Grazia Calandrone e dall’altra sia sulle figure rappresentate nel quadro di Picasso sia su fatti storici e momenti di vita quotidiana interrotti dalla
guerra, oltre a dare un ruolo più importante alla figura di Picasso. Inoltre, in base ai suggerimenti di Giancarlo e alla discussione collettiva, sono stati creati nuovi elementi e strutture di scena, costumi, musiche, paesaggi sonori e come elemento fondante della cosiddetta colonna sonora dello spettacolo sono stati registrati i testi della Calandrone interpretati dai diversi attori. La messa in scena è avvenuta allora all’Ex Mattatoio di Sassari che ci era stato concesso per un periodo. Sicuramente anche il luogo ha avuto la sua influenza sul risultato finale.
Nel 2008, con “Gernika, azione teatrale in quattro movimenti”, abbiamo conosciuto Maria Paola Cordella che in seguito è entrata a fare parte della compagnia. Era venuta per sostituire un’attrice che all’ultimo aveva dato forfait. Lo spettacolo è andato in scena nella versione elaborata con Giancarlo per qualche tempo. Quando invece nel 2014 abbiamo avuto l’opportunità di realizzare una coproduzione di Gernika con la compagnia Antagon TheaterAktion basata a Francoforte si è messo di nuovo mano allo spettacolo, questa volta affidando la regia a Maria Paola e includendo un cast di attori, e per la prima volta anche di musicisti, molto più numeroso, Abbiamo creato nuove scene ed azioni, oltre a rilavorare la colonna sonora dello spettacolo rendendola multilingue. E ancora, nel 2017 abbiamo fatto una nuova esperienza con lo spettacolo a Nis, in Serbia, con un nuovo cast di attori e musicisti.
Lo sviluppo di Gernika è emblematico per la nostra compagnia, anche se i dettagli di ogni singola creazione cambiano. Per noi ogni spettacolo è un work in progress. Ogni evento o installazione che realizziamo è il frutto di una riflessione collettiva e porta in sé l’esperienza pregressa, da cui cerchiamo sempre di imparare approfondendo e rimodulando secondo le nuove esigenze e necessità.

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Si parla di crisi della cultura, eppure Theatre En Vol ha saputo creare realtà radicate come Girovagando (22 edizioni) e i più recenti Concreta Utopia e Habitat Immaginari (rispettivamente 2005 e 2006). Intanto quali sono le specificità di ciascuno di questi e come si spiega questa apparente contraddizione?

Si parla della crisi della cultura, ma bisogna chiedersi chi mette in atto questa crisi. La cultura è uno strumento potentissimo contro l’ignoranza, l’arroganza, la superficialità, la discriminazione e la violenza. In periodi in cui chi governa preferisce abbassare il livello di conoscenza, consapevolezza e coscienza si parla di crisi della cultura e si agisce per smantellare gli strumenti per implementarla; si tagliano i fondi alla cultura, alla scuola, all’università, alla ricerca, all’editoria e si introducono leggi o misure per limitare la libertà di espressione. Sfruttando l’ignoranza dilagante si creano spauracchi per mettere i poveri contro i poveri, per poi poter evitare di confrontarsi realmente con i problemi reali della società. Abbiamo visto questo modello negli anni 30/40 del secolo scorso e stiamo vivendo uno sviluppo che va nella stessa direzione in questi ultimi tempi. Non che sia stata data la giusta importanza alla cultura negli ultimi 20 anni. Stiamo sicuramente vivendo un’epoca di crisi economica che si ripercuote su ampi livelli della società, ma nel contempo il divario tra una minoranza esigua con un potere economico spaventoso e una maggioranza che fa fatica ad arrivare alla fine del mese cresce
Girovagando è nato nel 1996 da un sodalizio tra Menestrello Multimedia e theatre en vol ed è solo grazie a un perspicace lavoro di “invasione” degli spazi pubblici con azioni e spettacoli teatrali di qualità nel centro storico abbandonato di Sassari e l’impegno assiduo volto alla “restituzione” degli spazi pubblici alla cittadinanza che il festival ha potuto prendere piede a Sassari e durare così a lungo.
Grazie all’amministrazione Anna Sanna il festival ha vissuto, sino alla fine degli anni ’90, dei tempi – possiamo dire con un po’ di ironia – gloriosi. In quegli anni il festival era anche riconosciuto dalla allora Ministro alla Cultura Giovanna Melandri come uno fra i tre eventi culturali più importanti in Sardegna.
Per due anni, Girovagando è stato sospeso a causa della negazione del ruolo della cultura qui a Sassari, e cioè negli anni precedenti all’amministrazione Ganau. Dalla ripresa di Girovagando nel 2004 sino ad oggi si è riusciti ad andare avanti basandosi da una parte su fondi comunali e della Fondazione di Sardegna, ma dall’altra – che è ancora più importante – grazie alla capacità di trovare alleanze con gli artisti invitati, con gli abitanti che hanno ospitato gli artisti, con gli spettatori e gli artisti locali che sostengono il festival, all’abilità di creare reti con altre realtà cittadine e alla passione che ci contraddistingue.
Habitat Immaginari, invece, è nato dal progetto europeo di teatro urbano interdisciplinare “Viaggio” che ha visto la realizzazione, nel 2006, di una conferenza internazionale a Sassari sul tema del ruolo dell’arte nella trasformazione urbana e nel coinvolgimento dei cittadini alla cura della città attraverso la responsabilizzazione. La conferenza ha riunito artisti, operatori, organizzatori, docenti universitari e amministratori intorno a questo tema attraverso lo studio di esempi di altri paesi, la visione di film e diversi interventi performativi e rigenerativi nel centro storico. Cinque anni dopo il concetto della trasformazione urbana temporanea di un’area prescelta del centro è stato ripreso e applicato a interventi artistici mirati nel centro storico basso in seguito allo studio delle loro problematiche sociali e culturali. Sassari ha visto dunque 8 edizioni di Habitat Immaginari. Gli ultimi due hanno affrontato il tema della multiculturalità attraverso la diretta inclusione di persone richiedenti asilo.
La Concreta Utopia, invece, è il nome del nostro progetto globale che mira alla realizzazione di un cantiere internazionale per l’arte e il teatro per spazi aperti e di strada. Quest’anno il nostro progetto cambia nome e viene declinato come segue: Dalla Concreta Utopia alla Casa delle Culture Diffusa.

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