Remo Carmine Antonio Branca, uomo d’ingegno brillante e vastissima cultura, nacque a Roma alle ore 9 del giorno 4 maggio 1897, in via Alfredo Cappellini N° 46 da Ernesto, ufficiale del Regio Esercito, e da Soro Satta Luigia, domiciliati a Sassari. La nascita fu denunciata il giorno 7 seguente e, successivamente, trascritta all’Anagrafe del Comune di Sassari.

I suoi genitori si trasferirono a Sassari, in un edificio del Corso Vittorio Emanuele, al numero civico 162, quando egli era in tenera età; pertanto è considerato un grande sassarese a tutti gli effetti. Remo Branca è stato mio maestro, sebbene negli ultimi anni della sua vita. Fu un uomo di animo forte e gentile; condusse una vita serena ma anche movimentata da vivi interessi: studio e lavoro intensi. Di lui mi giunge grato ricordare, oltre alla serenità, tranquillità e generosità, il suo volto aperto e franco, la fronte spaziosa, il sorriso buono ma, soprattutto, l’intelligenza vivida e pronta e l’amore verso la chiesa e i poveri. Nonostante il robusto temperamento d’artista, la sua natura era dolce e ricca d’affetto. Egli è stato un cristiano autentico: ogni giorno assisteva alla Messa, e ogni giorno pregava recitando soprattutto la corona del rosario. La vita di Branca è la storia non solo di una vigorosa, poliedrica intelligenza, ma anche di una tenacissima volontà; difatti egli continuò fino agli ultimi anni della sua esistenza a studiare intensamente, a scrivere, a incidere, a dipingere.

Credeva nell’amicizia e la sua amicizia era veramente sincera. Operò sempre, con tutti, in perfetta buona fede e in difesa dei principi morali, sociali e cristiani. La sua grande religiosità si espresse nella fede, nei valori più sacri: egli amò profondamente la famiglia e l’arte. Remo Branca si laureò in Giurisprudenza nel 1921 ma di fare l’avvocato non ne aveva proprio intenzione; sognava di diventare professore e lo divenne. In seguito, nel 1927, conseguì la maturità artistica a Firenze. Legato saldamente a Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Carmelo Floris, Mario Delitala, Stanis Dessy, fu iniziatore ed artefice, con essi, della “grande pittura sarda”. Nella pittura, come nell’incisione, per tutta la sua esistenza si dedicò ora ai paesaggi e ai tradizionali costumi sardi, ora al dramma santo del Vangelo.

Innamorato degli orizzonti campestri, realizzò paesaggi ben costruiti e luminosi, dipingendo i cieli di Orgosolo, i monti di Oliena, le solitudini incantate nel territorio della Barbagia, di cui egli era profondo studioso e conoscitore. La sua pittura era caratterizzata da luci e sfumature con i suoi colori, a volte drammatici e luminosi, fra i quali prevaleva il giallo, da lui molto usato, che scherzosamente chiamava “giallo Branca” e che era, in realtà, il giallo di cromo di una tonalità bella, luminosa e calda. Attaccato alla sua terra e alle sue tradizioni, anche in età avanzata egli si recava nel nuorese per trascorrervi l’estate e per cercare, dal vero, spunti d’interesse pittorico. Nel dipingere devote inginocchiate nel confessionale all’interno di una chiesa, ritratti di pastori meditabondi sotto le querce, egli espresse l’esigenza di nutrire la sua arte di osservazione diretta.

Semplice, umile, realista, in pittura, pur rimanendo fedele al suo genere di aderenza imitativa, è pervenuto nel corso del suo lavoro ad una modulazione esperta, personale, trovando nel suo stile una finezza inconsueta dettata da vera necessità interiore. Il suo ideale artistico ricercava la perfezione anche nella tecnica e nella forma. Mostrò visibile predilezione per il ritratto, nei ritratti che dipinse espresse tutto il suo prestigio. Nelle sue contadine, che hanno il portamento di regine e principesse, e che hanno qualcosa di medioevale, è contenuto il suo modello ideale, artistico, che può essere paragonato, sotto certi aspetti, al modello pittorico, di suprema grandezza umana, delle Madonne dipinte da Raffaello. In lui cristianesimo e arte si fondono con perfetta simbiosi. Dal 1918 al ’24 collabora come illustratore del “Giornalino della Domenica”, fondato da Luigi Bertelli (Wamba). Nel 1919, impegnato politicamente, iniziò la sua battaglia al circolo cattolico “Silvio Pellico”, insieme ad Antonio Segni, Giovanni Lamberti, Antonino Biddau, di Sorso; elementi, questi, fondamentali dell’Azione Cattolica di Sassari. Tra le sue opere giovanili sono da ricordare gli affreschi a tempera della cappella dell’Ospedale Civile di Sassari, che gli furono commissionati nel 1922 dalla madre superiora del tempo. Opere che rappresentano l’Annunciazione; la Crocifissione e la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, e preludono nei contenuti alle costanti fondamentali delle capacità creative di Remo Branca. Fin dai primi del secolo, egli dipinse e disegnò la Sardegna.

Nel 1917, a Sassari, ancora studente, ritrasse dal vero una famosa protagonista orgolese, di un processo ricordato nel romanzo “Marianna Sirca” di Grazia Deledda. La celebre scrittrice nuorese che, nel 1926, ottenne il premio Nobel per la letteratura, presentò ai suoi lettori, “sul Corriere della Sera”, in tal modo Remo Branca: “Uno di questi è Remo Branca, la cui cultura è pari alla modestia e l’arte pari alla sua fede”. Dotato di grande abilità grafica, egli realizzò innumerevoli schizzi dal vero e disegni di scorci di paese. Dimostrò capacità invidiabili nella tecnica xilografica, le sue suggestive xilografie sono piene d’energia ed indicano modi sintetici, condensando l’espressione e traducendola di getto nel puro, incisivo segno giungendo ad una densità di tono e contrasto ed esprimendo, peraltro, le sue attitudini alla composizione.

Allo scopo di sostenere una vera e propria scuola di xilografia sarda e divulgare le tecniche dell’incisione ormai abbandonate dagli artisti, specie dai giovani, egli scrisse su questo argomento vari volumi, tra gli altri si ricordi “Il Breviario di Xilografia” e “Maestri incisori di Sardegna”. Ettore Cozzani, a Torino, scrive nel 1965: «La xilografia ha a che vedere con Remo Branca in modo particolare. Perché? Perché nessuno come lui era in grado di trattare quest’argomento e di trattarlo compiutamente così a fondo; perché intanto egli stesso è uno dei più bravi xilografi della Sardegna, poi egli conosce della Sardegna tutto: il paesaggio, il costume, la letteratura,l’arte, la poesia popolare, la poesia dotta, la realtà, i sogni e di queste competenze ci ha fatto una punta sola, ma la punta di una trivella con cui riesce spessissimo ad andare a fondo alle cose; e ci vuole proprio questo perché si possa arrivare a capire perché un’arte così singolare, che potremmo dire con una parola non bella, specializzata, è diventata così attraente, non solo per un gruppo, ma per la grande folla di coloro che amano l’arte».

Remo Branca fu iscritto all’albo dei giornalisti, elenco pubblicisti, fu corrispondente de “Il Corriere d’Italia” quotidiano cattolico (anni 1920-1926). Svolse quindi un’intensa attività come pubblicista, scrivendo per numerose riviste e giornali tra i quali ne ricordiamo alcuni: “Madonna di Bonaria”, “Il Carabiniere”, “L’Osservatore Romano”, “Libertà”, di cui fu direttore dal 1923 al 1925. Fondò inoltre “Frontiera”, rivista mensile illustrata della Sardegna (1968-1976, Cagliari). Esperto del cinema didattico e scientifico, fu autore del volume “Il tuo cinema”, edito dalla S.E.I. nel 1940. Negli anni Trenta diresse il Liceo scientifico di Iglesias e istituì una scuola d’incisori. Conobbe la sorella di Benito Mussolini, donna Edwige, e nutrì grande stima di essa. La definì: «Donna generosa e ardente». Ricordando, inoltre, che essa, pur rimanendo fedele al Duce, provava un sentimento amarissimo verso le ingiustizie, i soprusi, le persecuzioni agli uomini così detti “politici”. Ostinato antifascista, dal 1942 al 1943 fece parte di un gruppo ideale di resistenza, a Roma, per iniziativa del dottor Alfredo Roncuzzi, allora farmacista e membro dell’Azione Cattolica.

Parteciperanno alle riunioni i figli di Matteotti e Sandro Pertini. Branca rimase sempre fedele al suo genere di pittura tradizionale. L’imitazione puntuale del vero, il modo di guardare ed esprimere la realtà, la serenità delle sue composizioni, la scrupolosità dei suoi ritratti, disegnati con amore e soffusi di poesia, caratterizzano il suo genere pittorico inconfondibile, nell’amore per la propria terra, sentito con pacatezza ed espresso con sincero animo. Presso le suore del Getzemani a Sassari, ammirati per luminosa freschezza, vi sono due grandi quadri ad olio su tela di Remo Branca, rappresentanti soggetti religiosi. Essi possono essere considerati le opere mature dell’artista. Egli realizzò i grandiosi dipinti, a Roma, dopo mesi e mesi di lavoro nell’anno 1983. Uno di questi quadri di notevoli dimensioni (mt. 2X3) raffigura il servo di Dio, Padre Manzella che consegna alle suore la regola della congregazione da lui fondata. Ed è su Giovanni Battista Manzella che egli scrisse il libro: “Il Signor Manzella, il Santo che ho conosciuto”, opera che ottenne un vero successo editoriale. A Fonni (NU) egli volle dedicare, nella chiesa di Santa Croce, un altare alla Madonna di Fatima che venne benedetto dal Cardinale Sebastiano Baggio in una festa di popolo.

Tenuto in grande considerazione dai Pontefici, egli dedicò una xilografia al Santo padre Paolo VI, mentre il Pontefice Giovanni Paolo 2°, in udienza privata, ne apprezzò notevolmente le opere. Fedele al Vangelo come regola di vita, dedicò tutto sé stesso alla professione di fede, sviluppando un itinerario morale per la vita cristiana. La sua espressione artistica e la sua letteratura sono collegate al profondo significato dell’opera di Grazia Deledda e Sebastiano Satta. Il ricordo del grande Maestro Remo Branca non potrà essere cancellato dal tempo. La sua arte non è stata un fuoco di paglia che si è spento subito ma, come diceva In Gres, «La buona pittura invecchia bene, la cattiva male». Oggi sarebbe opportuno ordinare una sua mostra retrospettiva per rendere possibile ammirare le sue buone e autentiche qualità, e non solo: per questi suoi merito verso l’arte e la Sardegna sarebbe giusto apporre una lapide alla memoria dell’artista che la sua città, Sassari, sembra aver dimenticato, riconoscendo in tal modo la forza originale di questo nostro insigne maestro che, insieme agli altri nomi di gloriosi artisti, ha fatto di Sassari un capoluogo della pittura. Remo Branca, fin da giovane, non ebbe maestri e rappresenta nell’arte il talento originale, oltre a personificare le più stimolanti energie dell’intelligenza e della fede. Morì a Roma il 26 luglio del 1988.

di Giovanni Fiora
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Un commento su “VITA E ARTE DI REMO BRANCA

  1. Salve, ho condotto uno studio approfondito sull’attività cinematografica del Prof. Remo Branca. Pubblicato poi sulla rivista di cinema “Immagine – Note di storia del cinema” a fine 2015.
    Volevo chiedere se fosse possibile avere un contatto del redattore di questo articolo per un semplice scambio, spero prolifico per entrambi.
    Grazie

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